Imprenditori “familiari”, per quattro su dieci è a rischio la transizione alla nuova generazione

Imprenditori “familiari”, per quattro su dieci è a rischio la transizione alla nuova generazione

La transizione generazionale è una delle grandi sfide per le famiglie imprenditoriali, e una preoccupazione crescente per la continuità imprenditoriale e per la capacità di tramandare valori, competenze e responsabilità. Un sentimento che emerge da una ricerca realizzata da Nexta Società Benefit, che affianca le famiglie imprenditoriali e le imprese nel perseguire i propri obiettivi di crescita. Avviata a giugno 2025, da allora a ottobre ha coinvolto 45 famiglie imprenditoriali, concentrate in Lombardia e Veneto, ma con una presenza significativa anche in Emilia-Romagna, Toscana e Puglia. Tra gli imprenditori intervistati, quattro su dieci (il 39%) pensano che nessuno dei membri della generazione successiva sarà presente in azienda. Circa due su dieci (il 22%) ritengono che saranno presenti tra uno e tre persone della nuova generazione e altrettanti (il 20%) che saranno tra tre e cinque membri.

Il campione

Il 30% delle imprese intervistate supera i 100 milioni di euro di fatturato. Le aziende operano in settori quali agroalimentare, manifattura, impiantistica fino ai comparti chimico-tessile e innovativi. Nel campione prevalgono imprenditori di seconda, terza e fino alla quinta generazione, ma è presente anche un 20% di prime generazioni, spesso protagoniste di processi di crescita e strutturazione ancora in corso. «La tendenza che emerge è quella di un graduale passaggio da decisioni esclusivamente familiari a modelli di governance più aperti e professionali, dove la fiducia, la trasparenza e il confronto tra generazioni si affermano come leve decisive per la continuità dell’impresa», spiega Mauro Puppo, presidente del cda e amministratore delegato di Nexta Società Benefit . Questi modelli di governance strutturata si sviluppano inizialmente nell’ambito dell’impresa familiare per poi estendersi alle decisioni della famiglia imprenditoriale nel suo complesso».

Dialogo intergenerazionale e conflitti

Se il dato sulla preoccupazione rispetto al mancato impegno della generazione successiva può sembrare un segnale di allarme, dalle interviste emerge anche un progressivo rafforzamento del dialogo intergenerazionale nei processi decisionali che riguardano il patrimonio familiare. Il 26% degli imprenditori intervistati coinvolge tutta la famiglia in riunioni che riguardano le scelte legate alle strategie patrimoniali, e il 28% include nelle riunioni solo i membri più anziani. Il 36% decide invece personalmente. Nelle decisioni che riguardano l’impresa familiare, decide nel 22% dei casi tutta la famiglia attraverso apposite riunioni, nel 29% dei casi un consiglio di amministrazione a maggioranza familiare, nel 17% dei casi un Cda a maggioranza non familiare, nel 27% dei casi decide l’imprenditore personalmente, mentre nel 5% dei casi la decisione è in capo a un amministratore delegato esterno. La ricerca affronta anche il tema dei conflitti familiari all’interno dell’impresa. Il 44% dichiara di non aver affrontato apertamente situazioni di conflitto, evidenziando come il tema resti latente e non gestito. Il 26% intende prevenirli con il confronto, iil 16% li ha vissuti e li ha risolti definitivamente, mentre il 5% afferma di stare affrontando dei conflitti in questo periodo.

Prospettive di crescita: dalle acquisizioni ai fondi

Dalle interviste emerge inoltre come le imprese familiari si trovino in una fase di riflessione strategica: da un lato la volontà di consolidare quanto costruito, dall’altro la consapevolezza che senza crescita, la sostenibilità economica di lungo periodo può diventare fragile. In questo senso non stupisce, quindi, che la maggioranza degli imprenditori guardi alla crescita come leva per garantire la continuità: il 34% dichiara di voler esplorare opportunità di acquisizione di aziende che si integrino nel business. Un quarto del campione non esclude l’ingresso di fondi di investimento, ipotizzando nel 15% dei casi che abbiano quote di minoranza e nel 10% dei casi quote di maggioranza. Il 15% valuta la cessione totale dell’attività, scelta che, pur difficile da accettare emotivamente, può essere la più corretta per preservare il valore dell’azienda e tutelare la solidità familiare. Un quarto del campione (24%) infine preferisce mantenere l’attuale assetto e attendere l’evolversi del contesto economico.

Fonte: Il Sole 24 Ore