Imprese Culturali e Creative: i nodi che restano da sciogliere

Viene chiarito che l’ente può assumere qualsiasi forma giuridica disciplinata nel libro V del Codice civile, nonché la forma di lavoratore autonomo. Inoltre, purché svolga un’attività prevalentemente in forma di impresa, anche gli Enti del Terzo Settore, potranno assumere la qualifica di ICC.
Il legislatore si preoccupa poi di dare una definizione di “beni culturali”, rimandando al codice dei beni culturali e del paesaggio, e di “attività e prodotti culturali”, identificandoli come “beni, servizi, opere dell’ingegno, nonché i processi ad essi collegati, e altre espressioni creative, individuali e collettive, anche non destinate al mercato, inerenti a musica, audiovisivo e radio, moda, architettura e design, arti visive, spettacolo dal vivo, patrimonio culturale materiale e immateriale, artigianato artistico, editoria, libri e letteratura”.

I punti da chiarire

Restano da chiarire alcuni punti molto importanti. Innanzitutto, è da definire cosa si intende per attività svolta “in via prevalente”. Nel decreto legislativo relativo alle imprese sociali si definisce attività svolta “in via principale” l’attività per la quale i relativi ricavi siano superiori al 70% dei ricavi complessivi. Oppure s’intende l’attività dalla quale deriva, nel corso del periodo d’imposta, il maggiore ammontare di ricavi o di compensi? In questa prospettiva bisogna anche disciplinare il caso di imprese che esercitano più attività.
Il secondo punto che merita una precisazione è relativo alle “attività economiche di supporto, ausiliarie o comunque strettamente funzionali all’ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca, valorizzazione o gestione di beni, attività e prodotti culturali”. Cosa si intende per “attività di supporto, ausiliarie e strettamente funzionali”? Si tratta di un interrogativo fondamentale per capire fino a che punto si estende la catena del valore delle organizzazioni culturali e creative.
Il terzo punto è relativo alle «attività e prodotti culturali». Esse vengono definite come beni, servizi, opere dell’ingegno, nonché i processi ad essi collegati, e altre espressioni creative, individuali e collettive, anche non destinate al mercato, inerenti a musica, audiovisivo e radio, moda, architettura e design, arti visive, spettacolo dal vivo, patrimonio culturale materiale e immateriale, artigianato artistico, editoria, libri e letteratura.

Il concetto di inerenza supera di per sé l’individuazione delle attività sulla base dei codici Ateco e proietta l’individuazione dell’attività sulla base di un profilo qualitativo. La qualifica di ICC è subordinata, infatti, allo svolgimento delle attività economiche in campo culturale a prescindere da qualunque riferimento alla tassonomia Ateco. Diventa pertanto decisivo qualificare il concetto di inerenza nonché quelli sopra richiamati (supporto, legame funzionale…etc) al fine di delimitare il perimetro applicativo della norma.

Quando si entra nell’albo e come rimanerci

L’ultimo aspetto che merita attenzione è la definizione delle modalità e delle condizioni del riconoscimento. Fermo restando che il comma 8 dell’articolo 25 prevede che le Camere di Commercio, istituiscono nel registro delle imprese una sezione speciale in cui sono iscritte le Imprese Culturali e Creative, restano da definire le condizione per ottenere l’iscrizione. Allo stato attuale nel nostro sistema giuridico sono previste diverse qualifiche giuridiche di cui si elencano le più significative: Impresa Sociale (D. Lgs 112/2017), Società sportiva Dilettantistica (D. Lgs 36/2021), le società Benefit (Legge 28 Dicembre 2015, N. 208), le Start-up innovative comprese quelle a vocazione sociale (Decreto-Legge 179/2012 modificato dalla legge 11 febbraio 2019 n. 12) e la qualifica di Ente di Terzo Settore (D. Lgs 117/2017). Elemento centrale, comune a tutte le qualifiche esaminate, è l’obbligo di prevedere nel proprio atto costitutivo e statuto lo svolgimento di una precisa attività, la presenza di determinati requisiti in sede di accesso e un meccanismo di controllo per la verifica del mantenimento dei requisiti. Le start-up innovative, ad esempio, devono non solo possedere ma dichiarare, in sede di iscrizione in Camera di Commercio, il possesso dei requisiti: “…..depositano presso l’Ufficio del registro delle imprese, di cui all’articolo 2188 del codice civile, una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale che attesti il possesso dei requisiti previsti dal comma 2 (art. 25 comma 3 Decreto-Legge 179/2012). Ai fini del mantenimento dei requisiti, il rappresentante legale delle start-up o dell’incubatore certificato, “entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio e comunque entro sei mesi dalla chiusura di ciascun esercizio … attesta il mantenimento del possesso dei requisiti previsti rispettivamente dal comma 2 e dal comma 5 e deposita tale dichiarazione presso l’ufficio del registro delle imprese”. Le Imprese Sociali depositano il Bilancio sociale in cui attestano il perseguimento delle finalità sociali e sono addirittura sottoposte a controllo interno (obbligo di nomina del sindaco) e a controllo pubblico (da parte del Ministero del Lavoro). Nel caso delle ICC, sarebbe importante prevedere un documento che descriva l’impatto sociale e culturale atteso o prodotto e che attesti lo svolgimento esclusivo o prevalente delle attività culturali e, dunque, la sussistenza del requisito necessario per il mantenimento della qualifica di Impresa Culturale e Creativa.

*dottore commercialista titolare dello studio D’Isanto; **dottore commercialista, partner studio Lombard DCA, entrambi esperti di ICC

Fonte: Il Sole 24 Ore