
Industria alimentare, trattamenti ad alta pressione per aumentare la sicurezza
Listeria, botulino e salmonella: dopo i tanti episodi di intossicazioni alimentari avvenuti negli ultimi mesi in Italia e i numerosi casi di alert e richiami di prodotti dal circuito commerciale, le aziende alimentari hanno alzato il livello di allerta sulla sicurezza e aumentato le spese in food safety.
Come quelle in Hpp (High Pressure Processing), una sorta di pastorizzazione a freddo realizzata con altissime pressioni idrostatiche, che arrivano fino a 6.000 bar. Il che è come portare gli alimenti confezionati 60 Km sotto il livello del mare e sottoporne i packaging a un crash test da industria automobilista.
«Stiamo registrando una forte crescita delle richieste di trattamenti ad alte pressioni, perché consentono di stabilizzare gli alimenti, compresi quelli freschi, garantendo elevati standard di sicurezza e senza alterare né il gusto né il valore nutrizionale”»spiega Giulio Gherri, titolare e ceo di Hpp Italia srl, che ha dato forte sviluppo a questa tecnologia in Italia e oggi ne è il maggior polo europeo che la mette a disposizione delle imprese del food & beverage.
Dotata di tre linee (e con la quarta in ordine), nel 2024 Hpp Italia ha movimentato oltre 10 milioni di kg di prodotti alimentari e, dopo l’impennata di questi ultimi mesi, ora si aspetta di chiudere il 2025 con 6,5 milioni di euro di ricavi, il 59% in più rispetto al 2023.
A ricorrere alla Hpp Italia sono sia grandi aziende multinazionali che Pmi (anche di altre nazioni) o start-up, accomunate dalle richieste di alcuni retailer internazionali che considerano le alte pressioni un pre-requisito dei fornitori di alimenti della catena del fresco, come salumi, prodotti ittici e preparati di gastronomia. Il menù dei prodotti trattati è già ampio ma continua ad allargarsi, seguendo il successo della cucina italiana nel mondo e la sua evoluzione globale.
«Negli ultimi tempi abbiamo visto crescere i pesti per pasta, le creme, le burrate e la ricotta – aggiunge Gherri – tutti ingredienti molto richiesti dagli chef italiani e dai retailer internazionali e che devono arrivare freschi e sicuri ovunque, anche a New York, Sidney o a Singapore».
Anche la crescente globalizzazione della cucina italiana ha i suoi effetti perché i prodotti freschi made in Italy devono essere inviati in paesi sempre più lontani, dove, per essere accettati, devono arrivare perfetti come in Italia. E qui entra in gioco il prolungamento della shelf-life degli alimenti (ad esempio un succo passa da meno di sette a più di 120 giorni, il latte da quattro giorni a oltre 60), che riduce il rischio di sprechi ed evita i costosi trasporti aerei privilegiando quelli via nave.
Fonte: Il Sole 24 Ore