Ingiusta carcerazione, discriminatorio tagliare l’indennizzo al clochard

È una discriminazione ridurre l’indennizzo per l’ingiusta detenzione, al senza fissa dimora, in considerazione dell’assenza di affetti, dell’accentuata marginalità sociale e della “subalternità culturale”. La Cassazione è costretta a ricordare alla Corte d’Appello che la privazione della libertà è pesante per tutti, e non solo per chi ha la villa con piscina e familiari che lo amano e aspettano la sua liberazione. Anzi quest’ultima circostanza, spiega la Suprema corte, può essere di aiuto per chi si trova in carcere.

In carcere da innocente

I giudici di legittimità accolgono dunque il ricorso dell’uomo, che era rimasto da innocente in carcere 458 giorni, accusato di reati infamanti come la violenza sessuale e i maltrattamenti. Secondo un criterio matematico standard avrebbe dovuto avere 235 euro per ogni giorno di carcere immeritato. Ma i 107.630 euro, erano diventati 75mila. Un taglio del 30% giustificato dalla condizione del ricorrente.

La Corte di merito mette nero su bianco le ragioni. Nel mirino era finita la condizione personale che «almeno per il periodo, in cui fu sottoposto alla misura custodiale, era quella di un uomo che viveva in una situazione di accentuata marginalità socio-economica e di subalternità culturale». Pesano anche l’assenza di una casa e degli affetti. Per la Corte di merito l’aver vissuto in una baracca, l’assenza di un’occupazione «e di rapporti affettivi di qualsivoglia natura», erano fattori che avevano certamente inciso molto negativamente sulla qualità della sua esistenza. Tutto questo doveva dunque necessariamente aver mitigato il patimento naturalmente connesso alla carcerazione.

La libertà ha lo stesso valore per tutti

Una conclusione discriminatoria e illogica che porta la Cassazione ad evidenziare l’assurdo della tesi. «In ultima analisi – scrivono i giudici – i criteri utilizzati dalla Corte territoriale legittimano una diversa quantificazione del criterio aritmetico (nel caso di specie con una sensibile riduzione del 30%) a seconda della condizione sociale, di marginalità, piuttosto che di normalità o di privilegio, una situazione quest’ultima – spiega la Cassazione – che alla luce di questi criteri , dovrebbe conseguentemente avere effetti opposti, di aumento del quantum».

Il ragionamento al contrario

Ragionando al contrario – affermano gli ermellini – si dovrebbe dare un “risarcimento” più alto a chi vive nel lusso, magari in una villa con piscina, e può contare su solidi affetti. Ma, per fortuna così non è. Costituzione alla mano è necessario dare lo stesso valore alla libertà di tutti. Il taglio del 30% fatto dalla Corte d’appello è discriminatorio, perché basato su criteri del tutto illegittimi «per non parlare – scrivono i giudici – dell’incomprensibile richiamo, pure utilizzato nell’ordinanza impugnata – alla “subalternità culturale” ».

Fonte: Il Sole 24 Ore