innovazione e AI per il futuro delle startup

innovazione e AI per il futuro delle startup

Esperienza internazionale. Memoria delle origini. Capacità tecniche. Gratitudine verso i maestri. Generosità per chi viene dopo. Se si ha l’occasione di ascoltare Vincenzo Di Nicola quando supera la sua naturale ritrosia e decide di raccontare la sua vicenda personale si viene esposti a un insieme di esperienze acquisite e valori emergenti che disegnano una prospettiva e possono diventare un modello. Oggi Di Nicola è alla guida del fondo dedicato all’intelligenza artificiale della CDP Venture Capital, uno degli strumenti finanziari essenziali per il sostegno alla modernizzazione del sistema economico italiano nel contesto della nuova ondata innovativa avviata dalla tecnologia più complessa, controversa, affascinante, ingannevole e suggestiva del momento. Di Nicola sa essere grato al mondo da dove è partito, sa riflettere su quello che ha imparato lungo la strada, riconosce il valore di chi lo ha ispirato.

L’idea di cercare opportunità all’estero ha segnato gli anni della sua formazione. Nel profondo Abruzzo, suo nonno riceveva dall’estero un assegno tutti i mesi. Quando ebbe l’età della ragione, Vincenzo gli chiese che cosa fosse. «Questa è l’America» rispose. Il nonno, che si chiamava anche lui Vincenzo Di Nicola, era emigrato da Teramo per andare a fare il minatore di carbone in Pennsylvania. Aveva lavorato abbastanza da poter tornare a casa e comprare della terra. Il nipote ammirava quel nonno e ascoltava rapito i racconti della sua vita. Anche quando spiegava che aveva i polmoni neri a causa della miniera. Quell’assegno era un risarcimento vitalizio: «L’America ti chiede tanto ma può darti tanto». Vincenzo decise molto presto che sarebbe andato anche lui in America.

Il porto di partenza fu all’università. Si laureò a Bologna in ingegneria informatica. Molti atenei americani erano interessati a coltivare collaborazioni con quell’antica istituzione accademica. Tra questi l’università della California. Di Nicola riuscì a ottenere di partecipare a uno scambio con l’università di San Diego. Di Nicola trovò un approccio didattico entusiasmante: «Non si trattava di memorizzare libri ma di saper fare le cose». Restò in America un anno oltre il previsto dal programma. Fece domanda per un corso a Stanford. Venne accettato. «Volevo fare il professore. Diventai assistente di Mendel Ronsenbloom» fondatore di VMware, pioniere del cloud computing. «Nell’ambiente stimolante di Stanford, però, mi accorsi che fare il professore non era così interessante come avevo immaginato». Il percorso di studi, però, prevedeva stage estivi per guadagnare qualcosa e conoscere il mondo delle imprese. Si trovò a lavorare a Yahoo! «In tre mesi ho migliorato il tempo di processamento dei dati del 30%» dice Di Nicola. «In quel modo ho fatto una scoperta decisiva: nell’accademia puoi fare cose che danno frutti dopo cinque anni o più, mentre nelle aziende puoi avere un impatto immediato. E guadagni di più». Quella scoperta è ormai diventata consapevolezza comune: «In America ci sono sempre meno dottorandi perché la ricerca si fa sempre più spesso nelle imprese e nelle start up».

Di Nicola non restò a Yahoo!, azienda che aveva un passato glorioso e un futuro incerto, e passò alla Microsoft a Seattle. Diventò program manager per studiare come interpretare i comportamenti delle persone emergenti dai dati, per migliorare la conoscenza del pubblico al servizio del marketing. «Creai un team che ottenne un buon successo. Mi mandarono in Cina. Bella esperienza, ci sarei rimasto, ma non volevo perdere la green card. Oggi sarebbe stato ancora più interessante». Di Nicola tornò in America, ma non amava Seattle. Si guardò in giro e vide l’occasione della vita. «Era appena uscito lo smartphone. Mi convinsi subito che sarebbe decollato generando nuovi trend. E da tecnologo mi associai con un amico venditore dell’IBM per creare un’azienda di pagamenti mobili, GoPago. Ricevemmo investimenti da JP Morgan e altri. Fu un’esperienza incredibile». L’azienda crebbe velocemente tra il 2009 e il 2013. A quel punto, Amazon volle comprare la tecnologia. «Ebbi la conferma che le grandi aziende hanno difficoltà a innovare ma hanno le risorse finanziarie per assorbire l’innovazione generata dalle start up. Era un’opportunità che non ci sentivamo di tralasciare. A quel punto avevo fatto dieci anni in America, come mio nonno, anche se a ritmi molto intensi. Volevo un po’ di pace. Tornai in italia. Trovai un paese molto arretrato. Volevo fare qualcosa».

Fonte: Il Sole 24 Ore