Intel, la Borsa scommette sulla mossa di Trump e vuole la svolta nei conti

Intel, la Borsa scommette sulla mossa di Trump e vuole la svolta nei conti

Un mercato in attesa. Così, può riassumersi l’atteggiamento degli investitori riguardo ad Intel. La riprova è offerta dalla dinamica del titolo in Borsa. «Dapprima deve sottolinearsi – spiegano alcuni graficisti al Sole 24 ore – che le azioni stano realizzando, nel lungo periodo, un trend ribassista. La resistenza dinamica – passante dal doppio massimo in area 69 dollari del 2021 e il top più in basso di fine dicembre del 2023 (circa 51 dollari) – attualmente sarebbe intorno al livello di 41 dollari». Sennonché, oggi il titolo danza a circa 20 dollari. Cioè: un valore ben inferiore il quale, per l’appunto, «segnala l’impostazione al ribasso».

Il movimento laterale

Ciò detto, però, «da poco più di un anno le azioni sono inserite in un andamento laterale. Un rettangolo che ha quale tetto la quota di 27 dollari, mentre il pavimento è situato nella zona dei 18 dollari». Di solito, in simili situazioni, la statistica dice che l’uscita «dal momento di congestione è all’ingiù. Se ciò accadesse – spiegano sempre gli analisti indipendenti – il livello da monitorare sarebbe quello dei 12-13 dollari». Al di là, tuttavia, della statistica – e del fatto che in un simile contesto il risparmiatore fai-da-te è obbligato alla massima cautela, valutando la propria propensione al rischio – è chiaro come il mercato sia in “stand by”. Una condizione la quale è ben comprensibile. Gli investitori v0gliono capire se, dopo la falsa partenza legata al precedente ceo Pat Gelsinger – la storia di ristrutturazione dell’ex regina dei chip statunitense si vada realmente concretizzando. Oppure no.

Oggetto sociale e false partenze

A fronte di ciò, e per meglio comprendere il contesto, è utile ricordare l’oggetto sociale dell’azienda. La multinazionale è un produttore integrato di chip. Vale a dire, realizza larga parte delle tre principali fasi di costruzione del semiconduttore: il disegno dell’architettura del microprocessore; la produzione del medesimo sul wafer; l’assemblaggio (in contenitori di plastica o ceramica) e il test. Tutti i passaggi descritti, storicamente, erano condotti su soluzioni di proprietà di Intel stessa. Ebbene: tra i focus del precedente Ceo – chiamato anch’esso al rilancio della società, e licenziato a fine del 2024 perché non ritenuto all’altezza – era che, da un lato, le foundry (fabbriche) del gruppo dovessero aprirsi sempre di più alla produzione per conto di terzi; e che dall’altro -anche al fine di perseguire l’obiettivo indicato – il gruppo dovesse effettuare importanti investimenti nella base produttiva. Proprio quest’ultimi mega esborsi si sono dimostrati – almeno agli occhi di esperti e mercato – non corretti. In particolare: è stato considerato insufficiente ritorno sull’investimento. Di qui, le reazioni negative della Borsa che – unitamente a conti trimestrali non soddisfacenti -hanno portato all’uscita di Gelsinger e all’arrivo, nel marzo scorso, di un latro amministratore delegato: Li-Bu Tan.

Investimenti solo se c’è domanda

La nuova partenza è stata contraddistinta di diversi elementi. In primis c’è la rivisitazione del programma sulla divisione Foundry. Tan ha una visione precisa: ampliare la capacità produttiva solo se e quando serve. Così Intel ha congelato i nuovi stabilimenti pianificati a Magdeburgo (Germania) e Polonia, rallentando il passo anche nell’espansione del mega-sito in Ohio. Detto diversamente: il gruppo riallinea gli investimenti alla domanda reale. Non solo. Le attività di assemblaggio e test in Costa Rica saranno consolidate nelle fabbriche più grandi in Malesya e Vietnam. Il tutto al fine di ridurre costi e duplicazioni.

Fonte: Il Sole 24 Ore