Intelligenza artificiale guidata dall’intenzionalità sociale

Intelligenza artificiale guidata dall’intenzionalità sociale

Negli ultimi giorni, i segnali di un’inversione di marcia su sostenibilità, salute e diritti si sono moltiplicati. Dalla decisione della presidenza Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, al recente disimpegno delle principali banche globali dalle alleanze per il clima, fino alla tendenza a sostituire il paradigma Dei (Diversity, Equity & Inclusion) con una visione elitaria di Merito, Eccellenza e Intelligenza (Mei).

Verso un cambiamento desiderabile

Il vento sta cambiando e la stagione della responsabilità sociale (dalla Csr fino alle forme più evolute di compliance Esg) sembra lasciare il passo a un pragmatismo utilitarista che pensavamo sepolto. Tuttavia, questa transizione non può limitarsi a certificare un semplice arretramento, ma ha l’opportunità di fare chiarezza e dare maggiore sostanza alla natura e all’orizzonte di un cambiamento desiderabile che può costituire il vantaggio competitivo del “Made in Europe”.

Quale valore d’uso per l’intelligenza artificiale?

Paradossalmente, il vento che spira rende più visibile il green washing, la tecnocrazia benevolente e il paternalismo sociale, e ci rende più capaci di distinguere e valorizzare quelle aziende e istituzioni orientate a “voler fare” una scelta sostenibile. In questo scenario, il concetto di “intenzionalità sociale” assume un ruolo centrale. Non si tratta più solo di mitigare impatti negativi o di rispettare regolamenti, ma di integrare nel cuore delle strategie aziendali e politiche il benessere collettivo, la democrazia e la felicità pubblica. Questi devono diventare la base su cui costruire decisioni economiche e sociali. Un elemento chiave di questa trasformazione è connesso al “valore d’uso” dell’intelligenza artificiale. Come sottolinea Mariana Mazzucato nel suo recente articolo “AI for What?”, il vero problema non è solo misurare l’Ia in termini di esternalità positive o negative, ma comprendere come governare uno strumento che, senza una missione pubblica, diventa inevitabilmente estrattivo e che sta producendo un’influenza non solo sui comportamenti ma anche sulle intenzioni dei cittadini (sempre più assimilati a consumatori). Cadere nella trappola tecnicista, che vede l’Ia come un fenomeno neutrale, significa rinunciare a governarne il potenziale trasformativo. Al fondo della questione non c’è solo l’impatto su lavoro e socialità, ma la libertà e il desiderio dell’uomo.

La risorse democratica dell’economia sociale

Una sfida che chiama in causa non solo le risorse economiche (oltre 200 miliardi sono stati previsti nell’ultimo AI summit di Parigi), ma soprattutto la biodiversità delle organizzazioni che producono valore e la loro capacità di potenziare i meccanismi di partecipazione autentica della comunità e di perseguire azioni orientate all’interesse generale.

In questa prospettiva la governance democratica delle imprese che compongono l’economia sociale, rappresenta uno dei pochi elementi di disturbo per quella plutocrazia che, in nome dell’efficienza, sta aumentando la concentrazione di potere e risorse. L’Italia, chiamata a redigere entro l’autunno 2025 un “Piano nazionale per l’economia sociale”, ha un’occasione unica di dotarsi di una “politica di missione”, per riallineare e legare le proprie politiche industriali e d’innovazione a nuove forme di governance più mutualistiche e inclusive. Nell’era dei dazi e del dumping, la competitività per l’Italia si gioca, infatti, sempre di più sul legame fra innovazione e democrazia, fra industria e prossimità. Non possiamo permetterci arretramenti su questo. I diritti non possono restare solo dichiarazioni astratte. Se il lungo-termismo di alcuni guarda a Marte e il corto-termismo di altri punta a sfruttare al massimo il pianeta, serve una “terza via” capace di guardare al presente come inizio di un futuro buono. Di fronte a questa sfida, chi desidera un mondo diverso è chiamato a un impegno concreto e costante. La democrazia, dunque, non è più una garanzia acquisita, ma un campo dove siamo chiamati ad agire con agonismo e speranza. La fine dell’era della responsabilità sociale è l’inizio di una nuova fase: quella dell’intenzionalità sociale. Chi vuole il cambiamento oggi non può più limitarsi a dichiararlo. Deve agire.

Fonte: Il Sole 24 Ore