
Intelligenza artificiale, perché in azienda arranca
La notizia è rimbalzata dagli Stati Uniti a fine agosto, rompendo l’equilibrio di pensiero comune che si era creato da mesi intorno all’intelligenza artificiale e alle ricadute benefiche della sua applicazione in azienda. E, invece, quello realizzato dal Mit Media Lab (“The GenAI Divide: State of AI in Business 2025”) è un rapporto critico circa la bontà degli investimenti operati in questa tecnologia.
Mit: «Bassi ritorni sugli investimenti»
Il motivo? Presto spiegato: nonostante le decine di miliardi di dollari spesi Mitdalle grandi aziende, solo il 5% dei progetti pilota basati su strumenti di Gen AI genera un’accelerazione rapida e misurabile dei ricavi. La maggior parte (il restante 95%) rimane quindi bloccato e non produce ritorni sul conto economico in termini di margine operativo. I ricercatori del MIT hanno cerchiato in rosso il reale impatto dell’intelligenza artificiale generativa e con la definizione di “Gen AI Divide” evidenziano il rischio di trasformazione minima al cospetto di una diffusione elevata delle soluzioni, con pochi settori che mostrano segnali di disruption strutturale mentre la maggior parte sperimenta molto senza risultati concreti.
Scarso apprendimento del contesto
Dove sta, dunque, la criticità che accompagna l’adozione degli strumenti generativi in azienda? Nel passaggio dalla fase pilota alla “messa in produzione” dei progetti, e nella fattispecie in cause imputabili allo scarso apprendimento contestuale e alla limitata capacità di integrazione di queste soluzioni nei processi operativi (e alla contestuale difficoltà di adattamento di sistemi e organizzazione al verbo dell’AI). La principale barriera al successo di questi progetti, in altre parole, sarebbe il deficit di comprensione di una tecnologia che fatica ad adattarsi al contesto e a processare i feedbak, non migliorandosi (e non correggendo i propri errori) nel tempo.
Il report dell’università di ricerca americana ha quindi acceso la luce su un problema che non è certo sconosciuto e sottolinea un ulteriore elemento di criticità. Quale? L’utilizzo informale della Gen AI, con solo una minoranza delle aziende (il 40% secondo il report) che ha acquistato abbonamenti premium ai modelli Llm, mentre il 90% dei dipendenti dichiara di usare regolarmente gli strumenti generativi a titolo personale per il proprio lavoro.
Piva: «Poche competenze e infrastrutture inadeguate»
Quest’ultimo fenomeno è stato rilevato anche in Italia, come conferma al Sole 24 Ore il direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, Alessandro Piva, secondo cui «l’interesse verso la Generative AI nelle medie imprese è cresciuto, ma l’adozione si scontra ancora con ostacoli strutturali come la carenza di competenze interne, la difficoltà di integrazione nei processi esistenti, infrastrutture non adeguate e incertezze regolatorie. A queste criticità – rimarca l’esperto – si aggiunge il rischio crescente di un utilizzo non governato della tecnologia da parte degli addetti aziendali, la cosiddetta shadow AI, che può portare all’esposizione involontaria di dati sensibili e compromettere la sicurezza e la conformità aziendale”.
Fonte: Il Sole 24 Ore