
ipotesi di nuove tasse sulle banche, Salvini si espone
Il ministro per le Infrastrutture, Matteo Salvini, esce allo scoperto e in qualche modo mette la firma politica sull’origine delle indiscrezioni che da un paio di giorni ipotizzano un nuovo intervento sulle banche per recuperare le risorse necessarie ad alimentare la manovra finanziaria. «Tutti dovranno fare la loro parte. Dei soggetti economici che, lo scorso anno hanno guadagnato 46 miliardi di euro, un contributo alla crescita del Paese e alle famiglie lo possono dare».
Il vicepremier Matteo Salvini ha risposto così, a margine del meeting di Rimini, a chi gli chiedeva del “pizzicotto” alle banche prospettato dal ministro Giancarlo Giorgetti e del possibile contributo degli istituti di credito. La presa di posizione di Salvini è apparsa ancora più marcata in confronto al discorso che poche ore prima, nello stesso consesso, aveva fatto la premier, Giorgia Meloni, la quale non aveva fatto alcun riferimento alla questione. Piuttosto, aveva sottolineato l’importanza per l’Italia di aver recuperato la fiducia degli investitori che si è tradotta in una riduzione dello spread, tanto da allineare il rischio Italia a quello della Francia. Dunque, le posizioni dei due leader politici sembrano rispecchiare quanto emerge dalla ricerca di conferme rispetto a iniziative avviate in vista della manovra finanziaria: non risulta nulla di concreto, nemmeno ipotesi di lavoro. Tantomeno è ancora giunta alcuna convocazione ai vertici dell’Abi in questo senso. La campagna elettorale in vista delle elezioni regionali di settembre, invece, è in pieno svolgimento e ognuno sembra giocare le proprie carte. Se le ipotesi si possano tradurre in un provvedimento è quindi tutto da dimostrare. Prese di distanze arrivano anche da Forza Italia, che non è mai stata favorevole a questo tipo di interventi.
«Il tema delle banche è così complesso e delicato che merita un approccio serio e meditato. Forza Italia è tendenzialmente contraria a inasprimenti fiscali. Va evitato il populismo bancario – ha dichiarato ieri il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e senatore di Forza Italia, Pierantonio Zanettin -. A chi in questo quadro invoca gli extra profitti sulle banche è bene ricordare innanzitutto che il concetto stesso è privo di contenuto giuridico o fiscale e che le banche, dal 2016, versano già un contributo straordinario alla fiscalità generale. Un extra-prelievo peraltro di dubbia legittimità costituzionale, nel momento in cui è diventato permanente». Zanettin ha toccato un punto cruciale: interventi fiscali veri e propri, come un incremento dell’aliquota, peraltro a carico di un solo settore, solleva problemi di costituzionalità e non è un caso che alla fine ipotesi di questo tipo siano sinora state accantonate. In questo ore qualcuno rilancia la prospettiva di tassare le banche che fanno operazioni di buy back: ma il problema resta quello, senza contare l’impatto negativo che avrebbero le valutazioni dei titoli bancari, già travolti in questi giorni dai rischi di instabilità governativa della Francia. Un intervento sui buy back, d’altro canto, andrebbe a colpire in modo più specifico le banche di maggiori dimensioni, le stesso che lo scorso anno hanno dato il contributo maggiore nell’operazione di anticipo della liquidità per circa 4,4 miliardi complessivi.
Secondo le indiscrezioni, che al momento non trovano alcuna conferma, si vorrebbe riproporre nella prossima manovra un intervento simile a quello dello scorso anno. Allora erano state ridotte le percentuali di deducibilità delle svalutazioni delle perdite sui crediti e sugli avviamenti e sull’impatto del principio contabile Ifrs9, deduzioni che gli istituti bancari di norma spalmano su più anni, in un periodo che va dal 2018 al 2029. Lo scorso anno è stata ridotta a zero la deducibilità prevista nel 2025 per le perdite sui crediti e sugli avviamenti e sull’Ifrs9. Per il 2026 nei primi due casi l’aliquota è stata ridotta dal 4,7 al 2,75% e per l’Ifrs9 dal 10 al 2,5 per cento. A questo poi è stato aggiunto un intervento sull’Ires per 650 milioni. L’effetto finale è stato un anticipo di liquidità previsto in circa 2,5 miliardi per il 2025 e 1,5 miliardi per il 2026, che poi nei fatti è stato più alto. Trattandosi di un anticipo, quei soldi lo Stato li deve restituire, già dal 2027 e per i due ani successivi. Questo significa che le aliquote per crediti e avviamenti salgono dal 2%, previsto prima dell’intervento dello scorso anno, a oltre il 6% e per l’Ifrs9 aumentano dal 10 al 15 per cento. Un nuovo intervento sul 2026 potrebbe arrivare soltanto dall’azzeramento delle aliquote residue del 2026: ma calcoli molto approssimativi fanno stimare che l’incasso sarebbe inferiore al miliardo. Dunque, per arrivare a quella cifra ipotizzata dai giornali, forse sarebbe necessario intervenire anche sulle aliquote del 2027.
L’effetto pericoloso di questo giochetto è che nella sostanza aumenta il debito dello Stato: e poiché il recupero delle aliquote tagliate difficilmente si può spalmare troppo negli anni, a partire dal 2027-28 ci sarebbe un impatto sulle casse pubbliche equivalente a una mega rata finale di un mutuo, come quelle che si venivano a creare con i vecchi prodotti a tasso variabile che prevedevano un tetto al tasso, salvo poi cumulare in unico conguaglio finale quanto non pagato mensilmente.
Fonte: Il Sole 24 Ore