
Jaar vince il Prix Pictet. Per la prima volta due italiane tra i finalisti
L’artista cileno Alfredo Jaar ha vinto il Prix Pictet 2025, il prestigioso premio dedicato alla fotografia e alla sostenibilità, fondato dalla banca private Pictet Group di Ginevra nel 2008. Ogni anno il riconoscimento, giunto all’11ª edizione e dotato di 100mila franchi svizzeri, promuove il dibattito intorno ad un tema specifico che quest’anno è “Storm”, tempesta, inteso come fenomeno naturale e metafora delle forze naturali, ma anche sociali, politiche ed economiche, che stanno stravolgendo il nostro mondo.
L’opera vincitrice
È stato annunciato al Victoria & Albert Museum di Londra nel contesto della mostra dedicata ai finalisti del premio, che rimane aperta fino al 19 ottobre e andrà poi in tour alla Ishara Art Foundation di Dubai, al TOP Museum di Tokyo, e al Luma Westbau di Zurigo.
Jaar ha vinto con la serie “The End”, che affronta l’imminente pericolo di prosciugamento del Great Salt Lake nello Utah, negli Stati Uniti, un ecosistema importantissimo che è stato danneggiato dall’eccessiva estrazione di acqua (dalla metà del XIX secolo, ha perso il 73% delle sue acque e il 60% della sua superficie), con rischi per la salute pubblica, l’ambiente e l’economia dello stato. Attualmente, sostiene 2,5 miliardi di dollari di attività economiche dirette ogni anno.
Le opere, di piccolo formato, evitano la spettacolarità, per funzionare come “una sorta di sussurro visivo, un lamento per il nostro pianeta morente”, come ha dichiarato l’artista, che puntava a mostrare il tragico destino del lago, ma al tempo stesso la sua straordinaria bellezza e potenziale.
La carriera
Alfredo Jaar, classe 1956, è un artista già molto riconosciuto, che ha esposto in quattro Biennali di Venezia (nel 1986, 2007, 2009 e 2013), quattro Biennali di San Paolo (nel 1987, 1989, 2010 e 2021) ed è stato incluso in due Documenta a Kassel (1987 e 2002). Ha iniziato a esporre alla fine degli anni 70 e in quasi 50 anni di carriera ha avuto mostre nei musei di tutto il mondo. Da sempre, nelle sue fotografie e installazioni, affronta le tematiche di ingiustizia sociale e le crisi umanitarie. Quest’anno ha già vinto l’Edward MacDowell Medal a Peterborough, in New Hampshire (Usa), mentre l’anno scorso gli è stato assegnato il IV Mediterranean Albert Camus Prize in Spagna. In Italia è rappresentato da Lia Rumma; inoltre, lavora con Thomas Schulte a Berlino e Goodman Gallery a Città del Capo. All’asta i passaggi sono stati 146 a partire dal 1992, con un record di 57mila dollari.
Due italiane tra i finalisti: Patrizia Zelano
Per la prima volta nella storia del premio, anche l’Italia è rappresentata tra i finalisti del premio con due donne: Patrizia Zelano e Marina Caneve, una doppia nomina che è già un grande successo, che avrà risvolti sulla visibilità e la carriera delle due artiste, visto il prestigio del premio e le tappe internazionali della mostra.
Patrizia Zelano, nata nel 1964 a Brescia, di base a Rimini, è stata nominata da Erika Viganò (per ogni edizione, un pool di 350 esperti invita gli artisti a candidare il proprio lavoro, dopodiché una giuria seleziona 12 finalisti, tra i quali viene scelto il vincitore) per il suo lavoro “Acqua alta a Venezia” del 2019, che mostra dei libri salvati da un allagamento in Laguna. “Il mio lavoro parte da un’intuizione” ha affermato Patrizia Zelano, “di formazione sono etno-antropologa, per me è stato fondamentale l’insegnamento di Guido Guidi. Nella mia fotografia ci sono quattro fasi, fatte di introspezione, sincronicità, accidente e meditazione”. Nelle nature morte di libri di Zelano c’è un aspetto fortemente scultoreo, ottenuto anche grazie ad un sapiente uso della luce, che è sempre naturale. “Evocano il tema della tempesta, ma anche il tentativo di recupero e della salvaguardia della nostra cultura millenaria.”
Fonte: Il Sole 24 Ore