Jehnny Beth, anatomia di una ribellione

Jehnny Beth, anatomia di una ribellione

Parigi, primi Duemila. Camille Berthomier, adolescente in fuga da Poitiers, prende un treno per vedere il suo primo concerto: gli Yeah Yeah Yeahs. Anni dopo, quella ragazza ricorderà che la cantante Karen O «mi ha fatto impazzire, era così libera, si dimenava selvaggia come Iggy». Dopo quella esperienza, con il nome d’arte Jehnny Beth, Berthomier ha recitato in una decina di film, diretto il cortometraggio “Stranger”, dato vita prima al duo John and Jehn e poi allo splendido gruppo postpunk tutto al femminile Savages. La band ha pubblicato due album in cui potenza, teatralità, l’oscurità dei Bauhaus, gli incastri dei Wire e un’intensità viscerale si contendono sprazzi di folgorante lucentezza. Dopo sei anni le Savages mettono in pausa il gruppo per concentrarsi sui singoli progetti delle quattro, così Beth collabora con svariati artisti, tra cui Gorillaz e Bobby Gillespie, nel 2020 esordisce come solista con l’intenso ed eclettico “To Love Is to Live”.

Il Manifesto di Beth

Il secondo album solista dell’artista francese nasce da un’urgenza autentica e feroce. Dopo anni di progetti e collaborazioni, Jehnny Beth sente il bisogno di tornare all’essenza, a un’energia punk viscerale simile a quella delle Savages. L’ispirazione arriva nel settembre 2023 durante le date dei Queens of the Stone Age in Nordamerica, che l’hanno scelta tra gli artisti d’apertura al loro tour. L’album prende forma in pochi mesi nello studio che condivide col compagno Johnny Hostile, un laboratorio artistico totale. Seguendo un manifesto di venti regole creative, ogni brano nasce dall’immediatezza e viene eliminato se annoia anche solo uno dei due. Il risultato è un disco denso, crudo, costruito su chitarre feroci e urla liberatorie. Il titolo nasce da una scritta vista su un’auto, «Tu, spezzacuori, proprio tu»: potente e umana, proprio come la musica stessa. Per Beth, il rock non è morto, è ancora il linguaggio della ribellione, capace di esprimere dolore, amore e contraddizione senza compromessi.

Un disco possente e violento

“You Heartbreaker, You” è un disco che colpisce allo stomaco, fatto di rabbia, tenerezza e consapevolezza. “Broken Rib” apre con un grido che dichiara subito l’intento catartico dell’opera: trasformare la frattura personale in energia creativa. È un brano rock potente che sfocia nell’industrial a cui bastano quaranta secondi per mettere le cose in chiaro. “No Good For People” è disarmante, saturata e carica di un beat deflagrante: «Non hai ancora trovato un modo per uccidermi…» canta Beth. “Out Of My Reach” è una ballata allucinante anticipata da “Obsession”, nella cui atmosfera arabeggiante si intravedono i Massive Attack. Il vetro rotto all’inizio di “I Still Believe” richiama alla stessa violenza rilasciata nello stoner industriale di “Reality”. Beth è inquietante e pericolosa sia quando ci sussurra all’orecchio, come nella lancinante “High Resolution Sadness”, sia nei momenti in cui la sua voce è distorta, come in “I See Your Pain”, che chiude un disco possente e asfissiante. Un album in cui, pur mancando l’aria che caratterizzava il sound delle Savages, si rimane sopraffatti dalla potenza di musica e parole.

Fonte: Il Sole 24 Ore