Jim Dine a Napoli: tra arte e memoria lungo un “labirinto” di stratificazioni

Jim Dine a Napoli: tra arte e memoria lungo un “labirinto” di stratificazioni

Nelle sale di Castel Nuovo, la pietra diventa teatro del contemporaneo. Con “Elysian Fields”, aperta fino al 10 febbraio 2026, il curatore Vincenzo Trione porta a Napoli una delle mostre più meditate della stagione, dedicata a Jim Dine, maestro americano classe 1935, tra gli ultimi grandi protagonisti della stagione pop e post-espressionista. Il progetto, interamente concepito per la città, intreccia arte e memoria, luce e fragilità con un rigore che evita ogni effetto spettacolare.

«È una mostra pensata per questa città – spiega Trione – capace di restituire la sua identità stratificata, sospesa tra passato e presente».

Allestimento

L’allestimento si sviluppa come un itinerario mentale e fisico tra la Cappella Palatina, la Sala dell’Armeria e la Cappella delle Anime del Purgatorio: un percorso di ventinove sculture in gesso che sembrano emergere dal tempo stesso, tra forme bianche, corpi spezzati, teste senza volto e presenze che oscillano tra il mito e la rovina. Per il curatore «le opere di Dine dialogano con reperti antichi e sculture rinascimentali, creando un racconto che unisce realismo e archeologia, memoria e rinascita».

Il castello

In questo senso il castello, con le sue stratificazioni visibili tra pavimenti trasparenti e mura medievali, diventa parte dell’opera: «Non è una mostra ospitata, ma un lavoro che prende casa in un luogo identitario», tiene a precisare. Dine, che ha realizzato le sculture nel suo studio di San Gallo, in Svizzera, racconta la genesi del progetto con parole che uniscono intimità e mestiere: «Sono ritratti che ho inventato e sognato, provenienti dalla storia e dal mondo antico. Ci sono amici perduti, figure viste nei boschi del Vermont. Il gesso è il mio materiale preferito per il modo in cui si sente tra le mie mani». Materia porosa, luminosa, vulnerabile: in essa si condensa l’ambiguità dell’opera, sospesa tra la permanenza e la dissoluzione.

Fonte: Il Sole 24 Ore