
La Cina scommette sull’Artico: parte la prima nave cargo, solo 18 giorni (invece di 50) per arrivare nel Nord Europa
Non più solo spedizioni isolate o viaggi di prova: dal prossimo settembre l’Artico diventa la scena di un esperimento che potrebbe cambiare le mappe della logistica mondiale. Per la prima volta, infatti, un armatore cinese inaugurerà un collegamento container regolare tra i porti dell’Estremo Oriente e quelli del Nord Europa, sfruttando – complice il riscaldamento globale – le acque sempre meno ghiacciate della rotta polare.
Il collegamento porta il nome, già evocativo, di China–Europe Arctic Express e sarà gestito dalla compagnia Haijie Shipping, conosciuta anche come Sea Legend. Non si tratta di un colosso storico dello shipping, ma di un operatore emerso negli anni recenti, durante la crisi del Mar Rosso, quando le navi cinesi iniziarono a viaggiare sotto scorta militare. Ora la società alza l’asticella e porta per la prima volta la Northern Sea Route a un livello di normalità: una linea programmata, con orari e scali prefissati.
Una nave piccola ma simbolica
La protagonista del viaggio inaugurale sarà la Istanbul Bridge, una portacontainer da 4.890 Teu, rinforzata per resistere ai ghiacci. Un’unità di taglia contenuta se confrontata con i giganti che attraversano Suez o Panama, capaci di trasportare oltre 20mila TEU, ma significativa per un corridoio dove finora hanno dominato i viaggi saltuari. La partenza è prevista per il 20 settembre dal porto di Ningbo-Zhoushan per concludersi quasi tre settimane dopo quando la nave attraccherà nel più grande porto container del Regno Unito, a Felixstowe. Durante il viaggio toccherà Rotterdam nei Paesi Bassi, Amburgo in Germania e Danzica in Polonia oltre ad altri due porti cinesi di partenza, Qingdao e Shanghai.
Il dato che colpisce è il tempo di percorrenza: 18 giorni da Ningbo a Felixstowe, meno della metà rispetto al tradizionale passaggio via Mediterraneo e Canale di Suez nel quale le navi impiegano dai 40 ai 50 giorni per raggiungere l’Europa del Nord. È proprio questa riduzione dei tempi a spingere Pechino ad accelerare sul fronte artico, nonostante i rischi e le incognite.
Un servizio stagionale, per ora
Per il momento, il collegamento sarà operativo solo nei mesi estivi e all’inizio dell’autunno, quando i ghiacci si ritirano. La finestra stagionale resta quindi limitata, ma l’obiettivo dichiarato è ampliare progressivamente la capacità operativa con l’impiego di navi progettate per affrontare condizioni più dure. In prospettiva, Pechino punta a trasformare l’Artico in un corridoio navigabile tutto l’anno. «In realtà la rotta artica esiste da tempo – sottolinea Leonardo Parigi, coordinatore dell’Osservatorio Artico –. Sono già tre i passaggi settentrionali utilizzabili. La novità di oggi non è tecnica ma politica: la sfida si gioca sulla volontà degli Stati».
Le tre vie verso l’Europa
Gli esperti distinguono infatti tre percorsi. C’è il passaggio a nord-ovest, che costeggia Canada e Alaska per collegare il Mare di Bering all’Atlantico: una rotta complessa, ostaggio di dispute territoriali e di ghiacci persistenti. C’è il passaggio a nord-est, meglio noto come Northern Sea Route, che segue le coste russe e che negli ultimi anni ha visto crescere i transiti grazie al ritiro stagionale dei ghiacci. Infine, gli scienziati guardano a una terza ipotesi: la Rotta Polare, che tra il 2050 e il 2060 potrebbe aprire un corridoio diretto dalla Cina alla Groenlandia attraversando il cuore dell’Oceano Artico. Proprio la Northern Sea Route è oggi la direttrice più appetibile. È questo percorso, spiega la letteratura scientifica, a rendere la distanza tra Asia ed Europa fino a tre volte più breve rispetto a Suez. Un vantaggio che per le compagnie di navigazione si traduce in tempi più rapidi e costi inferiori.
I costi-benefici
L’operazione non è però liscia e oltre ai condizionamenti climatici ci sono le valutazioni in termini di costi-benefici. “E’ vero – prosegue Parigi – che i tempi di percorrenza sono più che dimezzati, ma bisogna considerare le polizze assicurative che nel mare del Nord sono molto più pesanti per le conseguenze ambientali anche di una piccola dispersione di carburante, per fare un esempio”. Una sottolineatura che guarda anche all’economia russa. “Il Cremlino ha investito moltissimo nei porti – prosegue Parigi -. Basti pensare che il 14% del Pil russo proviene dalle attività di estrazione di idrocarburi nell’Artico”. Una zona dove gli interessi si incrociano. E sono tutti caldissimi. Ma la rotta del Nord deve fare i conti con la realtà: e dunque non solo con la stagionalità di una rotta che nella migliore delle ipotesi è aperta da maggio a metà ottobre, ma anche con il Polar Code, la Bibbia delle regole internazionali adottato dall’Imo (International Maritime Organization) ed entrato in vigore nel 2017. Il Codice standard di sicurezza e ambientali obbligatori per le navi che navigano nelle acque polari (Artico e Antartico). Come ad esempio i requisiti tecnici di sicurezza, la formazione dell’equipaggio e appunto le regole ambientali anti-sversamento, per la gestione dei rifiuti e delle acque reflue. Tutti capitoli che costano. “Per ora – conclude Parigi – i costi benefici potrebbero essere pari, quel che si guadagna in termini di tempi, si perde con le spese per il rispetto delle regole ambientali”. La partita, dunque, potrebbe essere tutta politica. Vediamola.
Fonte: Il Sole 24 Ore