
La collezione Smagulov e la curatela di Inga Lāce per l’apertura dell’Almaty Museum of Arts
Inga Lāce è stata nominata capo curatrice dell’Almaty Museum of Arts dopo aver maturato una lunga esperienza presso il Latvian Centre for Contemporary Art (LCCA) a Riga oltre ad essere stata curatrice associata presso il centro artistico de Appel di Amsterdam (2015-2016) e aver curato la settima, ottava e nona edizione del festival di arte contemporanea SURVIVAL KIT (2015-2017). Alla prossima edizione della Biennale di Venezia (la 61a) curerà il Padiglione della Lettonia insieme a Adomas Narkevičius, ruolo che ha già ricoperto nel 2019 insieme all’artista Daiga Grantina (in collaborazione con Valentinas Klimašauskas).
In questa intervista Inga Lāce presenta parte della collezione del fondatore dell’Almaty Art Museum, Nurlan Smagulov, e il suo approccio curatoriale per la collettiva inaugurale intitolata «Qonaqtar» che significa “ospiti” in kazako.
Come ha bilanciato l’intento curatoriale con la collezione del fondatore?La collezione esiste grazie ai trent’anni di collezionismo visionario di Nurlan Smagulov, per cui il dialogo e la collaborazione con lui sono stati molto importanti. Insieme alla direttrice artistica, Meruyert Kaliyeva, abbiamo presentato al fondatore il tema e la selezione preliminare delle opere, aprendo uno spazio per la sua riflessione. Ogni opera della collezione ha una storia, quella dell’artista, il suo ruolo nella storia dell’arte e quella personale del fondatore. In “Qonaqtar” queste storie sono strettamente sovrapposte. Nella mostra convivono anche il mio obiettivo curatoriale, plasmato dai temi dell’ospitalità e della migrazione nella regione, e il desiderio del fondatore di aprire le porte agli ospiti di questo nuovo museo e di festeggiare insieme.
Che tipo di visione del mondo e dell’Asia centrale emerge dalla collezione?Il percorso collezionistico di Nurlan Smagulov è iniziato circa trent’anni fa con le acquisizioni dei suoi contemporanei, con le prime opere di artisti come Almagul Menlibayeva, Askar Yesdauletov e le sculture di Eduard Kazaryan. Nel corso del tempo, la sua collezione si è ampliata per includere periodi precedenti dell’arte kazaka, in particolare la cosiddetta generazione dei “Sixtiers”, spesso considerata l’età d’oro dell’arte kazaka, nonché artisti internazionali. Ciò che emerge dalla collezione è la complessità e le sfumature. Si passa dalla gioia e dall’affermazione del Kazakistan ai lati più oscuri della storia della regione, al silenzio, ma anche alla tranquilla resistenza al regime sovietico. Si notano echi dell’artigianato nomade, della visualità sovietica, dell’estetica islamica e delle pratiche concettuali contemporanee, tutti stratificati e sovrapposti. Sono particolarmente attratta dal modo in cui la cultura nomade viene re-immaginata non solo come tradizione, ma come lente contemporanea.
In che modo la collezione riflette – o forse sfida – le narrazioni canoniche sull’arte dell’Asia centrale?Il periodo canonico dei Sixtiers è presente, così come le voci trasgressive degli anni Novanta. Ma la collezione comprende anche artisti, come lo scultore del legno Buryat Serenjab Baldano, le cui maschere offrono una visione del mondo unica e spirituale, e l’artista tessile Alibay Bapanov, il cui lavoro insiste sul fatto che le pratiche artigianali devono essere trattate come parte integrante delle storie artistiche locali piuttosto che come periferiche. Credo che sia proprio questo mix di moderno e contemporaneo, di canonico e contro-canonico a rendere la collezione fondamentale e critica. Per esempio, c’è una serie di lavori sul poeta e guerriero locale Makhambet, dell’artista grafico Maktym Kisamedinov, che possono essere considerati emancipatori, se non proprio decoloniali, nel contesto degli anni Settanta, quando furono creati. Una litografia di questa serie, “Juta (Carestia)” (1973), si riferisce direttamente all’Asharshylyk, la carestia che negli anni Trenta uccise più del quaranta per cento della popolazione etnica kazaka e che all’epoca non fu affrontata apertamente. La collezione comprende anche opere significative della prima artista donna kazaka ufficialmente riconosciuta, Aisha Galymbayeva. Spero tuttavia che molti altri aspetti interessanti emergano dalle future riletture della collezione.
Fonte: Il Sole 24 Ore