La convivenza più lunga della famiglia italiana
Era il 1988 quando il Centro studi e ricerche sulla famiglia dell’università Cattolica di Milano pubblicava «La famiglia lunga del giovane adulto», portando all’attenzione un fenomeno che già da tempo interessava psicologi e sociologi: la dilatazione della transizione tra adolescenza ed età adulta.
La fase di vita del «giovane-adulto» solo in parte può essere spiegata con l’incertezza del lavoro, il prolungamento degli studi e l’eccessivo costo delle case. Parlare invece di «famiglia lunga» consente di rileggere il fenomeno identificando un tempo familiare dilatato, in cui generazioni diverse convivono tra loro. Nel nostro Paese la transizione è più lenta: si lascia l’abitazione dei genitori spesso oltre i trent’anni, più tardi che altrove. Nel Nord Europa i giovani, sostenuti da un welfare più generoso, escono di casa già da minorenni. Da noi il rinvio dell’autonomia trascina con sé anche matrimonio e genitorialità, con effetti diretti sul calo demografico.
Disequità generazionale
Il prolungamento della permanenza in famiglia produce la disequità generazionale che segna il nostro welfare, dove la convivenza tra genitori e figli adulti è diventata un approdo naturale. I primi godono di redditi e tutele più solide, mentre i secondi restano a lungo dipendenti dal sostegno familiare, penalizzati da politiche pubbliche poco attente ai giovani. L’espressione «bamboccioni», coniata nel 2007 da Tommaso Padoa-Schioppa, allora ministro dell’Economia, seppur infelice, colse il nodo culturale di un sistema in cui ci si trattiene e ci si lascia trattenere: figli che faticano a svincolarsi e genitori che temono di vederli vivere peggio di come hanno vissuto loro. Da recenti ricerche emerge un eloquente «sto bene così», segno di quanto l’autonomia abbia raggiunto un prezzo troppo elevato, chiedendo di misurarsi con un tenore di vita più modesto, un mercato del lavoro instabile e costi abitativi proibitivi.
Dietro c’è un modello di solidarietà intergenerazionale, tutt’altro che un disvalore e anzi una risorsa tipica del nostro Paese. La forza dei legami familiari ha finito per legittimare il ritiro del welfare pubblico, che si affida alle famiglie come ammortizzatore sociale.
Rischio immobilità
Tuttavia la solidarietà finisce per non promuovere il passaggio del testimone, quando non sostiene l’autonomia. Vincoli economici e modello culturale hanno trasformato il nido familiare in un porto sicuro permanente, dove la protezione rischia di tradursi in immobilità. Servono politiche che affianchino le famiglie, non che si appoggino su di esse: casa, lavoro e servizi capaci di accompagnare i giovani verso l’età adulta, senza costringerli a scegliere tra sicurezza e libertà. Così la solidarietà intergenerazionale potrà tornare a essere un motore di futuro, non una zavorra del presente, riattivando un desiderio di generatività che oggi fatica a tradursi in scelte concrete.
Fonte: Il Sole 24 Ore