La correzione c’è, collezionisti a caccia di nomi sicuri ad Art Basel Hong Kong

La correzione c’è, collezionisti a caccia di nomi sicuri ad Art Basel Hong Kong

Nelle difficoltà del mercato dell’arte, l’espressione “la Cina è vicina” non è da considerarsi una minaccia, bensì un’opportunità. Ci hanno scommesso 240 gallerie da 42 paesi, tra cui varie italiane, che in questi giorni espongono al Convention and Exhibition Center di Hong Kong per la 12ª edizione di Art Basel Hong Kong, dal 28 al 30 marzo. Per esempio, P420 di Bologna, che è presente per la prima volta in Asia, dopo negli ultimi anni aver esplorato il mercato mediorientale. Il primo passo in Oriente è stato positivo, con uno stand statement interamente dedicato a 50 anni di produzione di Irma Blank, che ben risponde all’estetica e alla filosofia asiatica. I collezionisti hanno risposto positivamente, con interesse per le opere dell’artista tedesca che per quasi tutta la vita ha vissuto in Italia, con acquisti a prezzi tra 10mila e 70mila euro.

“Oggi non si può ignorare la Cina” ha commentato Luigi Mazzoleni, che invece è presente a Hong Kong dall’inizio della fiera e ora sta esplorando anche la Cina continentale. “Ci sono città immense, con svariati milioni di persone, di cui noi non sappiamo nulla. Hanno musei incredibili e un grande potenziale”.

Una città in trasformazione

Da quando è arrivata la fiera Art Basel, Hong Kong è certamente molto cambiata: da un lato è diventata un vero e proprio centro dell’arte, con gallerie locali e internazionali e musei come l’M+, che in questi giorni ha allestito delle mostre mostre proprio sul dialogo tra Oriente e Occidente, mettendo Picasso in conversazione con 130 artisti moderni asiatici e Cindy Sherman in relazione con il fotografo giapponese Yasumasa Morimura; dall’altro, c’è stato il passaggio alla Cina e il Covid, che ha portato tanti expats a tornare a casa. L’economia è rallentata e anche il mercato immobiliare è in leggero calo. Eppure, si respira una forte energia, in tanti stanno tornando e, poi, il potere d’acquisto dei nuovi collezionisti è sicuramente più elevato di quello dei giovani europei. Sia durante l’anteprima della fiera, che nei giorni di apertura al pubblico, i corridoi sono stati molto affollati. Le transazioni ci sono state, anche se non in maniera esplosiva. Oramai da qualche tempo, in fiera, le gallerie non registrano più il tutto esaurito il primo giorno e le vendite avvengono più lentamente, distribuite su più giornate. “Le fiere sono diventate troppo grandi” ha commentato l’italiano Daniele Balice della galleria parigina Balice Hertling, “non ci sono collezionisti sufficienti per tutte queste gallerie, è necessario in qualche modo ripensare il modello, ma la Cina rappresenta sicuramente un’area dinamica a cui non si può fare a meno di guardare”. Per affermare la propria dedizione alla scena artistica locale la galleria ha portato un solo show di Zhi Wei, artista cinese, queer, classe 1997, che parte dalla tradizione industriale della Cina, con riferimento in particolare alle fabbriche di tessuto, per creare delle stratificazioni con forme di difficile definizione, proprio come la sua identità (prezzi da 17.500 fino a 58mila euro per le grandi sculture).

Collezionisti sofisticati

A parte questi esempi di stand personali e quelli all’interno delle sezioni curate “Discoveries”, dedicata alle gallerie emergenti (qui si trova anche Umberto di Marino con le sculture dell’italiano Luca Francesconi a prezzi tra 7.200 e 16mila euro), oppure “Insights”, per progetti focalizzati sugli artisti asiatici dal 900 a oggi, e “Kabinett”, per gli approfondimenti su un solo artista, la maggior parte degli stand sono collettivi e con una forte prevalenza di pittura, che ai collezionisti asiatici piace molto sia nella versione figurativa che astratta, sebbene ci sia anche un interesse per altri media, come l’arte digitale e la performance. La pittura in tutte le sue declinazioni trionfa, ad esempio, allo stand di Pearl Lam, nota gallerista di Hong Kong, che ha venduto tra 20mila e 600mila dollari opere di artisti cinesi come Zhu Jinshi e Su Xiaobai caratterizzati da una forte matericità. Ciò non vuol dire che non ci sia un collezionismo raffinato. “Non è più come dieci anni fa, quando acquirenti inesperti entravano negli stand e facevano domande da neofiti” ha commentato Philip Tinari, americano che vive in Cina dai primi anni Duemila e da 14 anni è il direttore del museo UCCA, con quattro sedi tra Pechino, Shanghai e dintorni. “Oggi sono molto sofisticati, fanno ricerca, sono preparati e critici. Prima erano molto concentrati sull’arte cinese e acquistavano prevalentemente all’asta, ora sono in contatto con le maggiori gallerie internazionali e questo anche grazie ad Art Basel. Certo, anche qui si è sentita la crisi, in tanti hanno anche rivenduto opere di artisti contemporanei cinesi che avevano raggiunto prezzi stellari e ora sono calati in modo drammatico”.

Fonte: Il Sole 24 Ore