
la doppia sfida fiscale da 8-10 miliardi
Se la fattibilità della nuova rottamazione delle cartelle esattoriali dipendesse solo dall’accordo in maggioranza, la misura sarebbe già in un decreto legge pronto per il prossimo consiglio dei ministri. Il punto decisivo però è un altro: e riguarda la caccia a coperture non semplici da trovare dentro a conti pubblici imbrigliati nell’aggiustamento quinquennale appena concordato con la Ue nel Piano strutturale di bilancio, per di più in un Paese che non vede da sei mesi una crescita del Pil reale e deve fare i conti con obiettivi macroeconomici (+1,2% di Pil nel 2025) circondati da incognite che si intensificano nel tempo.
L’assalto della Lega
Perché all’apparenza la rottamazione è un «beneficio per le casse dello Stato», come sostenuto in questi giorni dai vertici leghisti, dal momento che offre un’occasione facilitata di pagare a contribuenti che almeno fin qui hanno deciso di non seguire le vie ordinarie verso la cassa. Nell’ufficialità del bilancio statale, però, la situazione è più complicata. Per due ragioni: perché i saldi di finanza pubblica tengono in considerazione anche sanzioni e interessi, che sarebbero cancellati dall’ennesimo tentativo di «pace fiscale», e non contemplano un pagamento diluito nei 10 anni concessi dalla proposta di rottamazione «definitiva» del Carroccio.
La contromossa di Forza Italia
Accanto a Matteo Salvini che guida la battaglia per la nuova rottamazione, nella Lega c’è Giancarlo Giorgetti che da ministro dell’Economia deve tenere i conti pubblici sul sentiero «realista e prudente» apprezzato fin qui da Europa e mercati. L’inquilino di Via XX Settembre ha chiesto agli uffici di misurare l’impatto di cassa della rottamazione; per la versione integrale presentata dalla Lega, come anticipato sul Sole 24 Ore di sabato, le prime simulazioni ministeriali parlano di 5,2 miliardi di euro per il 2025, 3 miliardi il prossimo e 2,3 nel 2027, prima di volgere in positivo con gli incassi aggiuntivi in un conto che al termine dei dieci anni si chiuderebbe però in passivo per 1,5 miliardi.
«Prudenza» del Governo sotto assedio
Ma la rottamazione non è l’unica arma utilizzata nell’assedio che i partiti di maggioranza stanno stringendo contro la «prudenza» fin qui rivendicata dai vertici del ministero dell’Economia, virtù apprezzata da chi guarda a spread e spesa per interessi ma meno cara a chi invece si concentra sulle dinamiche del consenso elettorale. Perché alla rottamazione leghista affianca il rilancio del «taglio Irpef per il ceto medio», bandiera sventolata negli ultimi giorni soprattutto da Forza Italia con il responsabile economico Maurizio Casasco ma cara anche agli altri partner di maggioranza a partire dallo stesso viceministro all’Economia Maurizio Leo (FdI). Anche qui, però, la questione dei costi è tutt’altro che marginale: abbassare dal 35 al 33% l’aliquota oggi applicata ai redditi fra 28mila e 50mila euro costerebbe 2,5 miliardi, e ne chiederebbe altri 2 il progetto ancora più ambizioso di allargare questa seconda aliquota alleggerita ai redditi fino a 60mila euro. Tutto compreso, insomma, il conto delle promesse può arrivare a 8-10 miliardi. Quasi una manovra; ma la manovra è già stata fatta.
Fonte: Il Sole 24 Ore