La drammaticità di Schiaparelli, la grazia vivificante di Giambattista Valli

La drammaticità di Schiaparelli, la grazia vivificante di Giambattista Valli

Sarà la pioggia battente dopo giorni di canicola, il clima mondiale non particolarmente fausto e l’incertezza attanagliante che ne consegue, uniti ad un indubitabile momento di crisi e stanchezza del sistema, ma l’avvio del breve periodo parigino dedicato alla haute couture lo si direbbe sottotono – i fuochi d’artificio, ossia il debutto di Glenn Martens da Maison Margiela e l’addio di Demna da Balenciaga, sono in ogni caso riservati al finale. Il cambio d’atmosfera è subito evidente da Schiaparelli: se il pubblico è fiammeggiante come da copione – Cardi B, Dua Lipa e poi tutto un parterre di donne altospendenti cui piace apparire in modo esuberante, calamitare gli sguardi di tutta una stanza, sobillare commenti – la proposta in passerella è severa, drammatica, a tratti quasi luttuosa, e non solo perchè protagonista pressoché assoluto è il nero.

È da qualche stagione che Daniel Roseberry, il direttore creativo dei mediatici successi, ha messo da parte i barocchismi sensazionali triggeranti viralità virtuali – ad esclusione questa volta di un perturbante abito rosso, invero fantasmatico, con i seni e il busto resi in modo realistico e portati sulla schiena insieme ad un collier meccanico a forma di cuore battente – per concentrarsi su forma e costruzione. Questa sfilata, tesa a congiungere attraverso un ponte immaginario archivio e futuro – è forse più il primo a notarsi, tra silhouette scolpite, echi spagnoleggianti e curve solenni – rappresenta la chiusura del cerchio. Roseberry guarda alla Parigi degli ultimi anni Trenta, prima che nel giugno 1940 la capitale fosse invasa dai tedeschi, e parla di «crepuscolo del glamour», lo stesso che percorre le foto di moda dell’epoca. Gli accenni a un futuro robotico, popolato di donne centauro, non mancano, ma è il futuro anteriore di quell’immaginario bellico, consegnato anch’esso alla storia. In altre parole si apprezza la gravitas della prova, ma non si può non sentirne l’afflato nostalgico.

Da sempre sodale delle donne, araldo di una estetica nella quale, sono parole sue, «gambe e cervello vanno d’accordo», Giambattista Valli non si lascia travolgere dalla cupezza. «In questo – aggiunge – sono romano: anche nell’orrore piú cupo riesco ad attaccarmi ad uno spiraglio di luce, e a partire da lì». È raggiante: come prodromo della presentazione, il Ministro della Cultura Rachida Dati, lo insignisce, per meriti acquisiti sul campo, del titolo di Ufficiale dell’Ordine Delle Arti e delle Lettere. È un riconoscimento di massimo peso, che sancisce la dedizione indefessa di Valli alle ragioni della bellezza e della manualità. Per l’occasione non sfila: gli abiti, fioriture leggiadre e spumose che omaggiano da lontano il settecento francese, sono esposti nelle bianchissime sale della Maison Valli. È una visione piena di leggerezza, che arriva dritta al cuore e ai pensieri senza lambiccamenti, con grazia ineffabile.

Fonte: Il Sole 24 Ore