La fiducia è un bene relazionale che cresce con l’uso, come la diffidenza

La fiducia è un bene relazionale che cresce con l’uso, come la diffidenza

Esattamente quarant’anni fa, l’economista Benedetto Gui introduceva per la prima volta in un modello teorico il concetto di bene relazionale: un bene che non appartiene a un individuo, ma esiste “tra” gli individui, all’interno di una relazione. Non si tratta di un oggetto materiale, né un servizio acquistabile sul mercato ma di un’esperienza generata e consumata simultaneamente da più persone, e la cui qualità dipende dalla qualità dell’interazione reciproca.

Gli economisti tradizionalmente distinguono i beni sulla base della loro “escludibilità” e “rivalità”. I beni privati sono escludibili e rivali – se compro una pizza posso legittimamente impedire a chiunque altro di mangiarla e, inoltre, se la mangio io quella stessa pizza non sarà disponibile per nessun altro. Al contrario i beni pubblici sono quelli dal cui godimento non si può escludere nessuno e che non si consumano con l’uso: l’aria pulita o la luce di un faro in mare non si esauriscono se ne fruiamo insieme. I beni comuni sono come quelli pubblici ma si consumano, come nel caso delle risorse naturali. I beni relazionali sono differenti. Non sono semplici oggetti o servizi, perché il loro valore nasce dall’interazione tra le persone. Non possono essere posseduti individualmente, né “consumati” da soli. Sono co-prodotti da chi partecipa alla relazione stessa. Pensiamo all’amicizia, alla fiducia reciproca tra colleghi, alla solidarietà tra vicini di casa, alla coesione di un gruppo, alle identità collettive. Un sorriso condiviso durante una riunione tesa, il senso di appartenenza a una squadra sportiva, l’affiatamento che si crea in un gruppo di lavoro ben rodato: tutti questi sono beni relazionali.

Perché andare al cinema o a cena da soli non è la stessa cosa di andarci con gli amici?

Perché nel secondo caso oltre al film o alla cena stiamo “consumando” anche quel bene relazionale che nasce dalla condivisione dell’esperienza stessa. Anche piccoli gesti quotidiani possono generare beni relazionali: la chiacchierata mattutina con il barista che conosce le tue abitudini, il saluto caloroso di un vicino che ti aiuta a portare le buste della spesa, la battuta scherzosa tra compagni di corso prima di un esame, l’orgoglio condiviso dopo aver portato a termine insieme un progetto complesso. Non li possiamo comprare eppure questi beni esercitano una influenza profonda sulla qualità della nostra vita. Questi beni non sono meno “reali” di quelli privati o pubblici: spesso sono proprio loro a dare senso al consumo degli altri beni e a rendere vivibili le comunità e i luoghi di lavoro. E se i beni privati e pubblici possono essere misurati in quantità, i beni relazionali si misurano nella qualità delle relazioni umane che riescono a generare.

Dopo la prima intuizione di Gui, altri economisti, sociologi e scienziati comportamentali hanno sviluppato l’idea, osservando che alcuni beni relazionali hanno una natura cumulativa: più vengono esercitati in maniera positiva, più si rafforzano. Allo stesso tempo, però, possono anche deteriorarsi rapidamente per effetto di un singolo episodio negativo. Fattori come la reputazione collettiva, la coesione di gruppo, la cultura organizzativa ed in particolare la fiducia sono tutti beni relazionali che mostrano tale caratteristica di “cumulatività”.

Fonte: Il Sole 24 Ore