
La forma del tempo. Cosa ci dice la scienza sull’invecchiamento: la lezione di Immaculata De Vivo a Porto Cervo
PORTO CERVO – Ci sono luoghi in cui la parola “longevità” risuona come un eufemismo mondano per “benessere”, o peggio, per marketing dell’eterna giovinezza. Poi c’è chi, come Immaculata De Vivo, biologa molecolare di Harvard, fa della longevità una questione di precisione biologica, etica della responsabilità e interrogazione sul tempo. La sua lezione al Longevity Fest 2025 diretto da Pietro Mereu, ha avuto il rigore di un seminario accademico e l’intelligenza critica di un gesto intellettuale raro: restituire complessità a un tema spesso ingabbiato tra slogan da laboratorio estetico e tecnofobie da salotto. Parlare di genetica ed epigenetica dell’invecchiamento in un contesto tanto glamour quanto dispersivo, è stata un’operazione a suo modo coraggiosa, ma De Vivo lo ha fatto con una chiarezza chirurgica: “Non siamo ostaggi del nostro DNA, ma nemmeno padroni assoluti della nostra longevità. Viviamo tra questi due estremi”, ha tenuto a precisare. Ecco, dunque, il punto. La genetica ci offre il codice, l’alfabeto con cui è scritta la nostra vita cellulare, ma è l’epigenetica – quella scienza sottile che studia come i geni vengono letti, accesi o silenziati – a raccontare come il mondo si imprime sul corpo. “Il nostro stile di vita è una calligrafia biologica che modella il genoma”, ha spiegato De Vivo. “Cibo, stress, inquinamento, relazioni, sonno. Tutto lascia un’impronta molecolare. A differenza della genetica, che è fissa, l’epigenoma è plastico. Cambia, si adatta, si deforma, può essere migliorato e può anche peggiorare. È in questo spazio d’oscillazione che si gioca il nostro invecchiamento. Non tanto in termini di rughe o capelli grigi, ma come tempo biologico: infiammazione cronica, decadimento cellulare, immunosenescenza e degenerazioni cognitive”. Il pubblico presente al Longevity Fest – promosso dal Consorzio Costa Smeralda in partnership con Smeralda Holding – ha ascoltato in un silenzio che sapeva più di attenzione che di deferenza. De Vivo ha smontato con garbo, ma con decisione, le narrazioni più tossiche del longevity-business, l’idea che esista una formula universale per “ringiovanire” il corpo, o che basti un test genetico per prevedere la propria data di scadenza. È vero che esistono gli “orologi epigenetici” – modelli molecolari che stimano l’età biologica in base alla metilazione del DNA – ma non sono oracoli infallibili. “Non si tratta di leggere il destino in laboratorio” ha precisato, “ma di usare questi strumenti come feedback: finestre aperte sulla nostra biografia biologica”. “L’uomo è il suo corpo, e il suo corpo è il tempo che ha attraversato”, ha concluso. La longevità, pertanto, non è un dato, ma un campo di forze, una partita tra struttura e contesto. La genetica ci dà le carte, ma è poi l’ambiente – e con esso le nostre scelte, le disuguaglianze sociali, la qualità dell’aria, la storia dei nostri traumi – a decidere come giochiamo.
Fonte: Il Sole 24 Ore