
La grande amarezza degli Sprints
Karla Chubb sembra uscita da un quadro di Dante Gabriel Rossetti, ma quando prende la chitarra in mano è capace di far tremare le pareti. Ha formato gli Sprints nel 2019 insieme al chitarrista Colm O’Reilly e il batterista Jack Callan dopo aver visto dal vivo le Savages, rubandone il lato teatrale. Con l’arrivo del bassista Sam McCann il gruppo ha cominciato a marciare. Tra il 2020 e il 2022 hanno pubblicato due Ep che stemperano l’ultraviolenza degli Idles con la bellezza abrasiva dei Gilla Band. Due anni dopo gli Sprints registrano l’album di debutto “Letter to Self” con Daniel Fox. Distorsioni che richiamano i Pixies, le stasi drammatiche di Heartworms e la vocalità di Courtney Love rimbalzano nella stanza di Chubb. I suoi testi sono tremendamente personali, profondamente politici, quasi sempre arrabbiati. Ma, secondo la cantante, «rabbia significa anche collettività» e lo si evince dai concerti incandescenti del gruppo, quando Chubb fa surf sulla folla, mentre qualche fan sale a suonare la sua chitarra.
Il postpunk cartesiano
Subito dopo la pubblicazione di “Letter to Self”, il chitarrista Colm O’Reilly si ritira per «dedicarsi alle sue passioni personali». Al suo posto arriva Zac Stephenson, ma la ripartenza non rallenta un’ascesa costante che li porta, nel 2025, a suonare allo storico festival di Glastonbury. Giusto qualche mese prima dell’uscita di “All That Is Over”, un album che mette in musica questo presente minacciato da catastrofi umanitarie e ambientali, dove l’umanità fa i conti con un mondo al collasso. Per questo motivo, il ritorno discografico del gruppo suona violento, ancorato a groove potenti, in equilibrio su pause estatiche. Sembra continuamente sul punto di collassare su sé stesso. Il singolo “Descartes” inverte il concetto del filosofo francese, focalizzando il punto sull’azione: «Parlo, quindi capisco». È un brano che prende corpo da nebbie postpunk, s’incammina tra le pareti sgualcite di un corridoio lastricato di cuori infranti e frammenti di ego in cerca di amore e della forza salvifica dell’arte.
Un album di violenta sincerità
“Better” racconta di un rapporto finito che si schianta sullo shoegaze, mentre il pessimismo oscuro del poeta ceco Vladimír Holan ispira “Beg”, che getta “All Night Party” degli A Certain Ratio in un incendio di chitarre ruvide. “Rage” avanza con un andamento infilzato dall’arroganza dei Dandy Warhols, tratteggiando la stanchezza di una società stufa dei falsi profeti. Chubb canta «Non invecchio, divento irriconoscibile» nel brano di apertura “Abandon” che introduce alla parte più oscura del sounds degli Sprints così come “Need” rispolvera il garage punk degli esordi in quella che è a tutti gli effetti una riflessione su come la cantante viene percepita dalla stampa. “To the Bone” si avvicina alla vocalità di Patti Smith senza sacrificare la violenza sonora. Lo stesso accade in “Something’s Gonna Happen”, dove la tensione viene lacerata da un terrificante furore. Il muro di suono che crea “Pieces” si sgretola sul pogo del pubblico agli intensi concerti del gruppo. “Coming Alive” sanguina di disperazione, un attimo prima che “Desire” chiuda in maniera sontuosa e filmica un album che odora di consacrazione.
Fonte: Il Sole 24 Ore