La lotta di Salo Muller contro la Shoah

A 84 anni Salo Muller combatte. Suo padre, sua madre e quasi tutta la famiglia sono stati inghiottiti dai campi di sterminio. Non erano più nessuno in quanto ebrei e li hanno dispersi nel vento. Così, la vita di Salo è diventata memoria: sulle tracce di Primo Levi, ci ricorda che «è avvenuto quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire». Salo come Primo Levi, come Liliana Segre, Sami Modiano o Nedo Fiano. Ma Salo anche come colui che lotta affinché le società ferroviarie d’Europa, responsabili di aver trasportato gli ebrei a morire verso i campi, indennizzino gli eredi di quei 6 milioni di innocenti che pesano sulla coscienza della storia.

Amsterdam 1942

Amsterdam, un sabato del novembre 1942. Mamma Lena dà un bacio in fronte a Salo che sta entrando a scuola e gli dice: «A stasera e fai il bravo». A sei anni quelle parole sono i titoli di coda della vita serena di Salo e il titolo del libro in cui racconta il suo inferno. Il volume, tradotto per la prima volta in italiano, è stato pubblicato nel 2005, dopo tre anni di scrittura: Salo raccontava da anni la sua infanzia sfregiata nelle scuole e in incontri pubblici. «Ho conservato – scrive con lucida amarezza – le lettere della Croce Rossa, lunghe una sola riga ciascuna. In una il nome di mia madre, Lena Blitz, nata il 20 ottobre 1908 e morta ad Auschwitz il 12 febbraio 1943. Nell’altra quello di mio padre, Louis Muller, nato il 20 luglio 1903 e morto ad Auschwitz il 30 aprile 1943».

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Mamma Lena e papà Louis sono vittime di uno dei tanti rastrellamenti voluti dalle SS in Olanda: finiscono deportati prima al campo di Westerbork e poi ad Auschwitz. Eppure, si sentivano, pur ebrei, Amsterdammers a tutti gli effetti come si credevano cittadini olandesi i 140mila ebrei del Paese, attivi nel settore tessile e in quello dei diamanti. Poi, divieto dopo divieto, perdono spazi, libertà, vita. Salo Muller racconta questa discesa agli inferi, che ricorda, per certi versi, il percorso tutto in discesa che si compie nel Museo Ebraico di Berlino.

L’Olanda nella morsa del nazismo

Le pagine di Muller, anche nel ricostruire il clima di inizio anni 40, sono cronaca pura, per questo sanno incidere nei pensieri e possono essere perfette per i ragazzi: istantanee in capitoli brevi e potenti. I tedeschi privano gli ebrei dei loro averi; gli ebrei non possono usufruire di treni, tram, biciclette, taxi e telefoni pubblici, e l’avversione antisemita è tollerata sempre più apertamente. Il clima di allora fa rabbrividire riletto oggi, fra degrado e uomini con le svastiche al petto.

Salo è orfano e la resistenza olandese lo nasconde. I pollai sono i suoi nascondigli e gli armadi spesso i suoi letti. Qualche settimana, qualche mese, e poi si cambia, ogni nuova famiglia un nuovo nome, un nuovo straniamento, una nuova partenza e un nuovo abbandono, fino ai mesi in Frisia, nel Nord dei Paesi Bassi, dove zio Omke e zia Beppe gli fanno da genitori e lui diventa Japje: «Mi sembrava di vivere in un mondo tutto mio, ma pensavo spesso a mamma e papà. Ancora non capivo perché non li avessi più rivisti né come mai in tutto quel tempo non avessi ricevuto loro notizie. Avevo compiuto otto anni e già lavoravo sodo in campagna». Viveva ogni giorno come un sacrificio e, a posteriori, aveva preso coscienza delle tante zone grigie, quelle che separano vittime e aguzzini, sfiorandoli molto spesso.

Fonte: Il Sole 24 Ore