La lunga guerra delle calorie di Israele per affamare Gaza

La lunga guerra delle calorie di Israele per affamare Gaza

La strategia israeliana venne alla luce nel 2011, quando l’Alta Corte esaminò un caso presentato da Gisha, un’Ong israeliana per i diritti umani, contro il Ministero della Difesa. “Red lines”, si chiamava così il documento che la Corte rese pubblico nel 2012. Si trattava di una presentazione del Ministero della Difesa risalente al 2008 in cui era stabilito il fabbisogno minimo di ciascun abitante di Gaza per evitare la malnutrizione: 2.279 calorie al giorno (media).

Il piano mirava a far entrare a Gaza aiuti corrispondenti a questo apporto calorico. Non una caloria di più. In modo da non provocare una crisi umanitaria secondo gli standard internazionali. Un calcolo cinico a spese della popolazione civile, che Gisha definì una “forma di manipolazione della fame come arma politica”.

Un obiettivo che venne affidato al calcolo di alcuni tecnici, tra cui l’economista Arnon Khoury-Yafin. Arnon mostrò il modello alla Knesset, riconoscendone le contraddizioni. In sintesi: a Gaza c’era cibo a sufficienza, ma le fasce più vulnerabili ne erano escluse. «Secondo questo modello, siamo già al punto in cui decine di migliaia di persone non hanno cibo e comunque si sfamano con meno di 300 calorie al giorno», spiegava.

Ma è dopo il massacro del 7 ottobre 2023 che la fame usata come arma di guerra è divenuta una vera strategia pianificata. Con un crescendo inquietante nell’ultimo anno, il Governo più a destra della storia di Israele è deciso a perseguire due “obiettivi”: impedire ad Hamas di ricevere aiuti umanitari e utilizzare la carenza di cibo per esasperare la popolazione civile e spingerla a ribellarsi contro Hamas. «Dal luglio 2024 fino al cessate il fuoco del gennaio 2025, le restrizioni israeliane hanno limitato il Programma Alimentare Mondiale a fornire meno di 1.600 calorie al giorno per persona. Molto al di sotto rispetto a prima. La Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), la compagnia americana a cui Israele ha affidato il compito di gestire la distribuzione degli aiuti, promette di fornire leggermente di più, 1.750 calorie, ma solo ai suoi “centri fortificati” di distribuzione», scrive un recente rapporto dell’International Crisis Group. Se a tutto ciò si aggiunge che la criminalità organizzata palestinese sottrae grandi quantità di cibo ai civili. La situazione si commenta da sola. I morti per fame sono già stati decine. Quelli che moriranno per malnutrizione saranno molti di più.

Mille settecento calorie non sono sufficienti. «Si tratta di una quantità inferiore al fabbisogno delle persone, in particolare di coloro che sono denutriti o hanno sofferto la fame per la maggior parte degli ultimi 19 mesi. Quindi queste non sono razioni per il recupero, ma razioni di sopravvivenza», ha spiegato il mese scorso Robert Bletcher, esperto di conflitti dell’Icg. L’esperimento ideato nel 2008 si è dunque trasformato oggi in qualcosa di spietato: fare entrare a Gaza un quantitativo di cibo non per evitare la crisi umanitaria, ma che consenta di sopravvivere. In altre parole: malnutrizione sì, anche grave, carestia no.«Per completare la vittoria, sconfiggere Hamas e liberare i nostri ostaggi, non dobbiamo arrivare a una situazione di carestia, né dal punto di vista pratico, né diplomatico. Non ci sosterrebbero», ha ammesso il premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Fonte: Il Sole 24 Ore