La natura russa di Tonino Guerra

La natura russa di Tonino Guerra

Mentre leggete, e fino a domani, Alexandr Sokurov è in viaggio tra le colline romagnole per ricevere il premio intitolato a Tonino Guerra. Al bardo di Santarcangelo – sodale di un altro grande cineasta russo, Andrei Tarkovsky, – Sokurov è legato non solo dal cinema e da una poetica nostalgica dell’immagine, ma anche da un’idea di Natura radicale e dolce assieme. L’inizio di Arca russa – il lungo piano sequenza in cui 300 anni di storia corrono tra i corridoi dell’Hermitage – è ambientato in un giardino con la neve azzurrata e opalescente, di una bellezza spirituale più che terrena. La perdizione di Margherita nel Faust è una caduta di spalle in uno specchio d’acqua. Dominare la Natura o essere dominati dalla propria natura è il gioco di questo film muschioso, che sa di lieviti e di polveri bagnate perfino negli interni.

La Natura sconfinata e gli interni europei

Nelle sue pellicole Sokurov pare contenere in geometrie calibrate la sconfinatezza della terra da cui proviene, la Siberia centrale, più vicino alla Mongolia che a Mosca. E gli interni, cui è stato educato dalla severità del clima, sono reinventati sul grande schermo sull’impronta del misticismo dei paesaggi e, quasi sempre, nella chiave europea dei romanzi di Tolstoj e Dostoevsky. In Francofonia aveva mostrato il vecchio continente come una nave in pericolo, salpata con i suoi capolavori tra i marosi dell’oceano con la fiducia ingenua di chi è illanguidito dalla bellezza prodotta nei secoli. Dentro il Louvre riprende con indugio quasi pietoso i particolari delle grandi opere: La Libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix, L’incoronazione di Napoleone di Jacques-Louis David, La zattera della Medusa di Théodore Géricault, il sorriso beffardo della Gioconda di Leonardo Da Vinci.

L’Italia è casa e scuola di formazione

L’Italia per Sokurov è scuola di formazione, è casa. Il 21 novembre al Festival del cinema di Torino riceverà il premio alla carriera. «Tintoretto è stato il primo regista del mondo», spiega al «Sole 24 Ore», mentre le mani indugiano su una scrivania ingombra di note vergate a penna. «Scrivo sempre, ogni giorno». Nel nuovo film che ha da poco presentato Fuori Concorso alla Mostra del cinema di Venezia, Il taccuino del regista, da marzo nelle sale per Revolver, Dante e Tintoretto compaiono più volte in illustrazioni e quadri. «Dove potremmo andare senza di loro?». Sul tappeto della voce fuori campo di Sokurov, mentre legge le proprie riflessioni, si fondono letteratura e cinema in un unico flusso, oltrepassando i generi del documentario. Una rassegna di eventi del 900 che mette insieme cronaca, politica sovietica e internazionale, i disastri aerei, quelli nucleari, il cinema, i premi Nobel, l’edizione de Il dottor Živago di Boris Pasternak pubblicata in Italia per Feltrinelli.

La prima volta da “protagonista”

«È la prima volta che sono dall’altra parte della macchina da presa. Non racconto di altre persone», come nel caso di Hitler, Stalin, Hirohito, protagonisti della Trilogia del Male. «Sono io al centro del flusso perché sono testimone degli eventi che racconto. Mi espongo personalmente mostrando personaggi e canzoni che mi piacciono, eventi storici che non ho capito e quelli per cui mi sono indignato». Una specie di Virgilio Dantesco. «Non esageriamo. Sono un viaggiatore modesto, che a volte finisce dove non deve. Virgilio sapeva benissimo dove portava Dante, ma ha rivestito il viaggio di mistero. Era molto furbo. Tutti lo amano e lo ricordano, ma è un semplice traghettatore. Io, invece, non so cosa mi succede perché l’evento accade davanti a me e non posso anticiparlo».

Fonte: Il Sole 24 Ore