La Nobel Shirin Ebadi all’Italia: basta fare compromessi col regime iraniano

La Nobel Shirin Ebadi all’Italia: basta fare compromessi col regime iraniano

«Smettetela di scendere a compromessi con il regime iraniano!» ha detto, riferendosi al governo italiano, e all’Europa in generale, Shirin Ebadi, prima donna a diventare magistrato in Iran, vincitrice del Nobel per la pace nel 2003. Durante la conferenza stampa che ha preceduto la sua apertura del festival letterario Pordenonelegge, ha definito la risposta dell’Europa alla dittatura sanguinaria di Tehran «Molto debole: gli europei hanno sempre cercato di tenerla a bada, di far sì che fosse soddisfatta. Noi attivisti non facciamo altro che chiedere agli europei di non rafforzare il nostro dittatore e permetterci di vincere questa battaglia. Dato che siamo in Italia vorrei fare due esempi di questi compromessi: ricordate quando l’ex presidente iraniano Hassan Rohani era venuto a Roma con una delegazione e ai Musei capitolini sono state coperte le statue, capolavori dell’arte italiana, per “rispetto” verso il presidente, perché erano nude. Questa è una mancanza dir rispetto nei confronti della cultura, dell’arte della storia italiana, è inacettabile!. E poi ricordate quando qualche mese fa è stato arrestato Mohammad Abedini Najafabadi, una persona vicina al regime iraniano che doveva essere mandato negli Stati Uniti per essere processato e invece per uno scambio con una persona italiana, Cecilia Sala, è tornato in Iran?».

Ebadi prosegue con un terzo esempio, che in questo caso riguarda Bruxelles: «Ricordate quando un diplomatico iraniano, Assadollah Assadi, è stato arrestato in Belgio con esplosivi che servivano a un azione terroristica nei confronti di un gruppo di dissidenti iraniani? Era stato condannato a 20 anni di carcere,ma subito dopo che la condanna è state resa definitiva il governo belga ha firmato un accordo per l’estradizione dei condannati con regime iraniano. Così in tempi molto brevi è stato restituito al regime, ed è tornato a fare il suo lavoro. Secondo voi è un atteggiamento giusto verso una dittatura come quella iraniana?» Oltretutto, osserva l’attivista nata a Hamadan nel 1947 che ha raccontato la sua vita in Finché non saremo liberi (traduzione di Alberto Cristofori, Bompiani, pagg. 254, euro 14) «questo rende anche meno sicuri i cittadini europei che si recano in Iran, è contro i principi democratici. Perciò concludo con un messaggio per i governi europei: non aiutate il regime, se lo fate contro le vostre stesse democrazie!»

Tre anni dopo l’uccisione di Mahsa Amini il regime è molto debole, Ebadi è piena di speranza: «fino a poco tempo fa se si pensava all’Iran si pensava a un regime potente con molti alleati: finanziava hezbollah libanese, creando gravi problemi al Paese, in Siria teneva in piedi in siria hanno tenuto in piedi Bachar el-Assad, nonostante il fortissimo dissenso, in Yemen sosteneva gli Houthi che avevano creato situazione di instabilità. Ora vediamo che lo scenario è cambiato: in Siria Bachar el-Assad, è caduto, in Libano Hezbollah si è molto indebolito, in Yemen gli Houthi quasi non ci sono più. Il regime molto indebolito, anche la loro difesa aerea è stata distrutta in un paio di giorni dagli israeliani. Tutto questo ha mostrato che il regime iraniano non è così potente».

Cosa ne è del movimento Vita, donna, libertà, le chiediamo: «Il movimento ha avuto un ruolo determinante nel cambiamento della società, ha fatto indietreggiare il regime. Per esempio una legge varata dal parlamento che doveva inasprire ancora di più le punizioni nei confronti delle donne non è stata resa esecutiva perché sarebbe stato complicata da applicare: si possono arrrestare cento donne, o mille donne, ma non centinaia o migliaia di donne. Se guardiamo le foto che ci arrivano delle persone nelle strade, possiamo vedere che la società è completamente cambiata, sono tantissime le donne che non portano più il velo. Questo è merito del movimento, che è ancora vivo, ha solo cambiato il metodo di protestare, ma le proteste sono ancora in corso e il popolo iraniano e in particolare le donne continuano la lotta».

«Una battaglia in straordinaria solitudine» ha osservato il presidente della Fondazione Pordenonelegge, Michelangelo Agrusti, che conversava con Ebadi, ricordando anche la solitudine della ribellione dei siriani, dove nella repressione che ha seguito la primavera araba Bachar el-Assad ha ucciso 500mila arabi e curdi del suo Paese. «Sono completamente d’accordo – ha osservato l’attivista _: la Siria era una repubblica, ma una repubblica passata dal padre al figlio, e hanno fatto stragi con il loro popolo, aiutati dal regime iraniano sia direttamete sia tramite Hezbollah».

Fonte: Il Sole 24 Ore