
La prossima Terra a Palazzo Diedo
Nel sestiere di Cannaregio, tra la stazione ferroviaria e Campo Santi Apostoli, c’è Palazzo Diedo, costruito all’inizio del ‘700 per l’omonima famiglia da Andrea Tirali, autore di opere che sono un mix tra le forme palladiane e il classicismo veneziano, anticipatrici di quello che verrà poi definito neo classicismo europeo. Nel 1888 il palazzo divenne di proprietà del Comune che lo adibì a scuola elementare e a sede del tribunale di Sorveglianza (dal 1993 al 2012), poi più nulla, fino a dopo la pandemia, quando il filantropo Nicolas Berggruen decise di acquistarlo, restaurarlo (a coordinare il tutto ci ha pensato l’architetto Silvio Fassi) e trasformarlo in quella che è oggi la sede del Berggruen Arts & Culture.
Classe 1961, Berggruen continua così a scommettere sul futuro di Venezia, visto che è già proprietario della scenografica Casa dei Tre Oci alla Giudecca, sede europea del Berggruen Institute. Durante i frenetici giorni di apertura della 60esima Biennale d’Arte, lo scorso anno, ci ha portato a visitarlo in anteprima, quando tutto ed era ancora un cantiere con centinaia di operai che si muovevano, macchinari e autentiche “sorprese”, come i due importanti cicli settecenteschi di affreschi riportati alla luce (sono di Francesco Fontebasso e Costantino Cedini, li trovate al primo piano) con i sei capricci romani. E poi, ovviamente, le tante opere d’arte realizzate da artisti contemporanei, ancora imballate o appena sistemate per terra, su una grande parete o appese al soffitto, dalla Split Fountain di Jim Shaw ai quadri colorati di Hiroshi Sugimoto fino alle “gocce di pioggia” argentate (Oman) di Urs Fisher, cui si deve anche l’opera per uno dei soffitti che rende il tutto ancora più suggestivo.
Ci siamo tornati di recente, durante la 19esima Biennale Internazionale di Architettura, perché nelle sue sale è stata inaugurata The Next Earth , una mostra che richiede tempo e concentrazione per essere capita ed apprezzata al meglio, visto che mette in scena un dialogo tra due importanti progetti di ricerca: The Noocene: Computation and Cosmology from Antikythera to AI di Antikythera e Climate Work: Un/Worlding the Planet di MIT Architecture. Curata da Benjamin Bratton, Nicholas de Monchaux ed Ana Miljacki, è un intreccio particolare tra due prospettive che affrontano alcune delle questioni più urgenti del nostro tempo, in particolare quale ruolo possano avere la filosofia, la tecnologia e l’architettura di fronte alle crisi globali che ridefiniscono il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro condiviso.
Sviluppata su due livelli, The Next Earth riesce così a creare un dialogo tra le ricerche attuali di Antikythera – think tank internazionale che prende il nome dal primo computer conosciuto (un antico dispositivo concepito per calcolare e orientarsi nel tempo e nello spazio) e che si dedica a ripensare il ruolo della computazione planetaria come forza tecnologica, filosofica e geopolitica – e di MIT Architecture – il più importante istituto di ricerca al mondo nel campo della scienza, dell’ingegneria e del design – nei campi del clima, della cosmologia e del calcolo computazionale. Da un lato ci viene presentata la Terra come una megastruttura in continua evoluzione attraverso oggetti che raccontano il complesso sviluppo della filosofia moderna, dall’altra ci viene offerto uno sguardo caleidoscopico attraverso trentasette diverse prospettive su cosa ha significato e cosa potrebbe significare progettare considerando le implicazioni planetarie dell’architettura e del design.
Tra i lavori presentati, troviamo Drawing time di Adriana Giorgis, un modo per far conoscere e non dimenticare la realtà dell’Aquila e dei suoi edifici distrutti dal terremoto nel 2009, ricostruiti e rafforzati con tiranti, pietre angolari e pareti ispessite, generando implicazioni che vanno oltre l’estetica, perché investono anche la dimensione spaziale. Una città dove mantenere significa rifare, dove costruire significa preservare e dove prendersi cura degli altri vuol dire creare. L’Aquila così si inserisce con altre città nel progetto di portata più ampia intitolato Climate Work: Un/Worlding the Planet” (Dis/mondializzare il pianeta), una riflessione sull’impatto dell’architettura e sulla necessità di un ripensamento creativo e cognitivo per immaginare un futuro sostenibile.
Fonte: Il Sole 24 Ore