
La ricerca di frontiera esplora i viaggi interstellari
Una propulsioni a laser
Il primo e più importante problema per i viaggi interstellari capiamo essere la tecnologia di spinta, il motore insomma. Che il razzo vettore sia a uno, due o tre stadi, a carburante liquido o solido, non si riesce a fare molto più di questo con i motori attuali basati sulla chimica.
Ci sono vari progetti in studio da anni, che hanno un approccio completamente diverso, si affidano ai laser che dalla Terra, spingono particolari e leggeri veicoli con velocità che, secondo gli ideatori, potranno andare al 25% di quella della luce, portando al viaggio dalla Terra ad Alpha Centauri dai millenni oggi necessari a una quindicina di anni. Sia il progetto Starlight, iniziato una quindicina di anni fa, che il progetto Breakthrough Starshot, adottano come idea di base di usare luce ad alta intensità, fasci laser in sostanza, per spingere veicoli, piccoli e leggeri, delle dimensioni di un CD-ROM, fino a velocità relativistiche. Finanziati da Nasa o da robuste iniezioni di capitale privato, i due progetti, dopo una fase di sviluppo sembrano in stallo, ma l’idea di base, ovvero non portare nel veicolo né motore né carburante, è comunque sembrata rivoluzionaria e potrebbe essere ripresa.
A bordo 1.500 persone per centinaia di anni
Ancora più visionari ed estremi i tre progetti che hanno vinto il concorso Hyperion, bandito dalla Initiative for Interstellar Studies, I4IS, un gruppo internazionale guidato da Andreas Hein, professore di ingegneria dei sistemi spaziali all’Università del Lussemburgo. Il loro quartier generale, e la cosa pare di buon auspicio, è alloggiato alla British Interplanetary Society, un’organizzazione che nel lontano 1933 si propose di sviluppare i viaggi spaziali, allora pura fantasia. Le regole del concorso erano di poter andare alle stelle più vicine, utilizzare solo tecnologie esistenti, o comunque di prossimo sviluppo e trasportare un equipaggio e i possibili discendenti, visto che il viaggio si suppone comunque lungo centinaia di anni, di 500 – 1.500 persone iniziali senza che i singoli o la comunità intera avessero nocumento.
Un progetto italiano: l’astronave lunga 58 chilometri
Vince l’italiano Crhysalis, un gigantesco tubo, 58 chilometri, contenente vari cilindri concentrici dove l’equipaggio può vivere con una gravità artificiale simile a quella della Terra. Questo, ma anche gli altri, hanno al loro interno scuole, fabbriche, ospedali, piazze. Il motore di spinta del vincitore è a fusione nucleare, oggi non c’è ma è considerata una tecnologia probabile in futuro.
Il tallone di Achille, come sempre, sembra però quello umano: riusciranno 1500 persone a sopravvivere, riprodursi, coesistere, ci si chiede. Probabilmente la prima generazione sì, perché è fatta di coraggiosi volontari, ma la seconda e la terza? Difficile sperarlo, si rischia di passare da una generosa riproduzione dell’Utopia di Tommaso Moro al clima di una periferia moderna di una grande capitale.
Fonte: Il Sole 24 Ore