La rinaturalizzazione può essere un’alternativa al consumo di suolo zero

La rinaturalizzazione può essere un’alternativa al consumo di suolo zero

Quando si progetta di realizzare un data center o un polo logistico recuperare un immobile già esistente è sempre preferibile, ma nel caso in cui questo fosse impossibile? Come coniugare le necessità del mercato e l’esigenza di fermare il consumo di suolo?

Una soluzione potrebbe arrivare da una piccola modifica alla proposta di legge delega per il nuovo Testo Unico delle Costruzioni, presentata il 26 marzo dalla deputata Erica Mazzetti. «Il nuovo Testo Unico rappresenta una sfida cruciale per il settore immobiliare – spiega Guido Inzaghi, fondatore e managing partner dello Studio Inzaghi – in particolare per asset class come Data Center e logistica, per i casi in cui non è possibile insediarli su aree dismesse. La vera novità, però, è la prospettiva europea della rinaturalizzazione, introdotta dalla Nature Restoration Law, il regolamento Ue approvato a giugno 2024, che va oltre la rigenerazione urbana».

Rinaturalizzazione significa restituire al loro stato naturale aree ormai inutilizzate o abbandonate. «È uno strumento fondamentale per quelle destinazioni d’uso, come data center e logistica, che a volte per esigenze infrastrutturali richiedono l’utilizzo di suolo vergine, per esempio in prossimità di nodi energetici o autostradali», chiarisce Inzaghi. «Il saldo zero nel consumo di suolo, obiettivo dichiarato del Testo Unico, rischia di essere messo in crisi da queste necessità.

La risposta potrebbe essere quindi in una modifica al testo, facendo sì che preveda – come alternativa alla costruzione su brownfield – l’individuazione di aree dismesse da rinaturalizzare, anche non nello stesso comune, restituendole al verde».

Fonte: Il Sole 24 Ore