
La riscoperta del cliente fedele, i nuovi costano cinque volte di più
Lo hanno definito l’e-commerce dal tocco personale. Ma forse a pensarci bene è più una zampata. Così si presenta Chewy, rivenditore americano di cibo per animali domestici e altri prodotti dedicati alla galassia pet. Il colosso è nato dall’intuizione del noto investitore canadese Ryan Cohen con una missione assai ambiziosa: offrire ai propri clienti proprietari di animali domestici la migliore esperienza di acquisto possibile. A distanza di quindici anni la sfida è vinta sul campo digitale: quotato nel 2019 al Nasdaq, oggi registra un fatturato miliardario e conta undicimila dipendenti con più di 3.500 fornitori per 110.000 prodotti e servizi. La personalizzazione è la parola d’ordine. Nascono così video ad hoc generati dall’intelligenza artificiale per il post-acquisto, suggerimenti per la cura degli animali domestici, consigli sui prodotti e messaggi di ringraziamento. Intanto si guarda alla salute alimentare: la nuova campagna è incentrata sul cibo fresco per cani.
Persone e tecnologie
Esserci in tutto: è qui la chiave vincente nel tempo segnato della loyalty economy, almeno per i brand d’eccellenza. Perché trattenere un cliente soddisfatto significa garantirsi continuità di ricavi e riduzione dei costi di acquisizione. Lo ha scritto sull’Harvard Business Review nel lontano 2001 Frederick Reichheld, docente all’Harvard Business School. «Ogni azienda dovrebbe misurare non solo quanti nuovi clienti conquista, ma quanti riesce a trasformare in promotori attivi del brand».
Chatbot,intelligenza artificiale, ticket digitali. Ma anche voce autentica, risposte puntuali. La sfida è combinare le due dimensioni. Per l’Economist nel futuro il servizio al cliente diventerà il campo di battaglia più competitivo: non vincerà chi promette di più, ma chi saprà ascoltare e risolvere meglio. È il ritorno della relazione multicanale: Zappos, e-commerce americano di calzature, ha le linee aperte 24 ore su 24 con gli operatori autorizzati a restare ore al telefono pur di risolvere il problema. Apple Genius Bar è un palcoscenico esperienziale. Sephora ha sviluppato chatbot per i consigli beauty e li integra con consulenti reali. Airbnb, soprattutto nei momenti di crisi, ha dimostrato che l’assistenza umanizzata può preservare la fiducia di host e viaggiatori. Il futuro appartiene ai brand problem solver. Realtà capaci di ascoltare, interpretare, risolvere. E soprattutto raccontarsi con la voce del cliente soddisfatto.
La forza della fidelizzazione
Per molti è la riscoperta della fidelizzazione rispetto alla smania del prospect, quella strategia volta a conquistare nuovi clienti e quindi allargare fette di mercato. Perché di fatto opera su ciò che si può fare nell’immediato rispetto al potenziale da programmare nel futuro. Lo ha scritto anche Forbes in America: acquisire un nuovo cliente può costare 5 volte di più che mantenerne uno esistente.
Anche l’80% dei profitti futuri di un’azienda deriverà solo dal 20% dei clienti esistenti. Secondo la società tech americana Zendesk l’88% dei clienti ricorda più l’assistenza post-vendita che la pubblicità iniziale. Ma inspiegabilmente le aziende sono più attratte dai prospect e meno propense a lavorare sulla fidelizzazione dei clienti consolidati. Bisogna invertire questa tendenza. «Le aziende sono dominate dalla cultura della vendita, orientata al target di breve e alla spinta dei prodotti in catalogo. Per il venditore medio è più sexy conquistare un nuovo cliente che vedersi confermato un ordine da un cliente che viene dal passato. Al contrario, la cultura di marketing fondata sul cliente e sulla sua valorizzazione win-win di medio-lungo termine è rara per ragioni culturali e contingenti. Cambiare è possibile laddove si consideri che la cultura di vendita si cambia partendo dal portafoglio: cambiare i Kpi e il sistema di incentivi, considerando il valore del ciclo di vita del cliente, indurrebbe molti venditori a cambiare passo», afferma Alberto Mattiacci, professore ordinario in marketing & business management all’Università La Sapienza di Roma e senior fellow in Luiss Business School.
Fonte: Il Sole 24 Ore