La vittoria di Milei e la fama di Trump
Rischiava di convertirsi in una maledizione elettorale ma, per fortuna di Donald Trump, che non avrebbe apprezzato la nomea di portajella, il sorprendente trionfo di Javier Milei interrompe una sequenza di sconfitte di candidati enfaticamente sostenuti dal presidente americano. La Libertad Avanza dell’attuale inquilino della Casa Rosada ha prevalso in Provincia de Buenos Aires, tradizionale serbatorio di voti del peronismo, arrivando in testa a livello nazionale con un robusto 41% e distanziando di nove punti Unión por la Patria e le altre liste riconducibili all’ex presidente, oggi agli arresti domiciliari, Cristina Férnandez de Kirchner.
Si è andati alle urna – poco, dato che il tasso di partecipazione, poco più dei 2/3, rappresenta il minimo dal ritorno della democrazia – per rinnovare la metà della Camera dei deputati e un terzo del Senato, ma in pratica è stato un plebiscito sulla sostanza e la forma di meno di due anni di presidenza libertaria. Milei si ritrova ora nella posizione, non ancora comoda ma certamente più confortevole, di essere la ‘prima minoranza’ in Parlamento, allontanando lo spettro dell’impeachment (vari sono gli scandali che hanno circondato l’amministrazione della motosega) e rendendo effettivo il potere del veto presidenziale.
“Congratulazioni al Presidente Javier Milei per la sua Schiacciante Vittoria in Argentina. Fa un lavoro meraviglioso! La nostra fiducia in lui è stata giustificata dal popolo argentino” ha reagito Trump su Truth Social. Effettivamente il legame tra Casa Bianca e Casa Rosada è quanto mai profondo – Milei si è recato 11 volte negli Stati Uniti (incidentalmente, la seconda destinazione preferita è stata l’Italia, quattro visite), l’ultima a metà ottobre. Il Tesoro ha annunciato uno swap bilaterale di valuta da 20 miliardi di dollari e un intervento diretto sul mercato dei cambi per sostenere il peso, alleggerendo così la pressione sulle riserve della Banca centrale argentina. Trump era stato quanto mai esplicito nel condizionare l’aiuto americano al successo elettorale del collega porteño.
Ben diversa a primavera era stata la storia in Australia e in Canada, dove i partiti di centro-sinistra avevano rifiutato di lasciarsi andare allo sconforto di fronte all’abisso cui sembravano destinarli i sondaggi pre-elettorali e hanno portato a casa un raro secondo e quarto mandato consecutivo, rispettivamente. Mark Carney, il banchiere centrale diventato primo ministro solo tre mesi dopo essere entrato in politica, ha convinto gli elettori canadesi del pericolo rappresentato da Trump e dell’importanza di privilegiare l’esperienza, piuttosto che la prossimità al presidente americano e alle sue iniziative (tra cui l’annessione proprio del Canada). Sebbene le elezioni australiane non riguardassero direttamente Trump, le posizioni simil-MAGA del leader conservatore hanno reso le turbolenze globali che provoca il presidente americano un fattore determinante anche Down Under. La strategia di Anthony Albanese di non presentarsi come anti-Trump, ma piuttosto di calma e serenità, ha pagato.
C’è un terzo paese in cui la destra populista ha registrato il suo miglior risultato storico, anche se i socialisti hanno guadagnato la riconferma, ed è la Norvegia. Il Partito del progresso ha un’agenda anti-migranti simile ad altri movimenti europei affini, ma la sua leader Sylvi Listhaug non ha corteggiato la Casa Bianca.
Fonte: Il Sole 24 Ore