Laura Biagiotti torna in teatro tra radici, sogni e Rinascimento

Un luogo quasi sacro per Milano e per la sua tradizione di spettacoli, il Piccolo Teatro Studio, fondato da Giorgio Strehler e ora intitolato a Mariangela Melato. Il 18 settembre è tornata a sfilare su quel palcoscenico anomalo – attorniato da una “piazza” più che da una platea – la maison Laura Biagiotti, fondata dalla stilista e imprenditrice, scomparsa nel 2017, e ora guidata dalla figlia Lavinia. «Presentiamo la collezione per la primavera-estate 2024, certo, ma questa sfilata racchiude molte altre suggestioni, altri mondi – spiega Lavinia Biagiotti Cigna –. C’è un ideale legame tra le mie radici e quindi il ricordo e gli insegnamenti di mia madre, e il presente e il futuro del marchio. Il mio desiderio è far convivere elementi tipici delle collezioni Laura Biagiotti, come la maglieria, con piccoli tocchi personali, legati alla visione che ho della moda e delle donne».

In passerella dominano i toni chiari, ma illuminati da cristalli e tocchi di colore su borse e scarpe. Molto teatrali, potremmo dire, i cappotti e alcuni abiti leggeri, che con un gesto delle braccia si allargano quasi a regalare ali alle donne che li indossano. «C’è un aggettivo che sento poco per descrivere gli abiti da donna ed è “pratico”. A me piace molto, invece, perché la praticità può stare nel dettaglio, come una piccola insospettabile tasca in un abito da gran sera – aggiunge Lavinia Biagiotti Cigna –. Pratico è anche il cappotto apparentemente semplice e austero, ma che si allarga e diventa più avvolgente, se chi lo indossa lo desidera».

Le suggestioni di cui parla Lavinia Biagiotti sono anche l’inedito mix tra tecnologia (è un video di digital art a introdurre la sfilata) e storia: alcune stampe della collezione sono ispirate alle “grottesche” degli affreschi del Castello Marco Simone, alle porte di Roma, storica sede dell’azienda: «Sono figure fantastiche e antropomorfe, di animali stravaganti misti a motivi vegetali – aggiunge Lavinia Biagiotti –. Mia madre scoprì gli affreschi del 500 sotto strati di calce: ci vollero sei anni per restaurarli e gli esperti delle Belle arti ci spiegarono che le grottesche sono state probabilmente realizzate da allievi di maestri dell’epoca, come Raffaello. Farle rivivere su abiti e camicie pensati per donne contemporanee mi dà gioia ed energia. Non è in alcun modo un’operazione nostalgia, ma la dimostrazione che dalle radici, personali o di un territorio, possono nascere sempre nuovi frutti e nuovi sogni».

Fonte: Il Sole 24 Ore