
Lavinia Biagiotti: «Per i nostri 60 anni un ecosistema fatto di moda, sport e arte»
Il 30 luglio del 1965, nella caldissima estate in cui i Beatles avevano per la prima volta suonato in città, la 22enne Laura Biagiotti fondava a Roma insieme alla mamma Delia la società Biagiotti Export, per produrre e distribuire nel mondo le grandi firme dell’alta moda romana, da Schuberth a Capucci. Dopo aver realizzato le divise dell’Alitalia e creato una collezione per il mercato statunitense, la giovane azienda seguiva e interpretava così l’evoluzione della moda italiana verso il suo peculiare pret-à-porter, fatto di design innovativo e nutrito dal patrimonio tessile del Paese.
Sessant’anni dopo, dal castello medievale di Marco Simone di Guidonia, abitazione di famiglia e sede creativa e amministrativa alle porte di Roma, Lavinia Biagiotti Cigna celebra il traguardo, seduta alla scrivania che fu della mamma, nello studio abitato da ricordi, foto, biglietti affettuosi e riconoscimenti, ereditato (insieme all’azienda, che nel 2024 ha fatturato 100 milioni e vende per il 55% all’estero) nel 2017, quando Laura Biagiotti scomparve improvvisamente. «La nostra storia ha accompagnato la moda italiana in tutte le sue fasi – spiega -, dalla nascita del Modit a Milano fino alle aperture ai mercati esteri, di cui mia madre fu pioniera con le prime sfilate di una designer italiana in Cina e in Russia. Io oggi ho un altro progetto: portare il mondo qui da noi».
In un certo senso ci siete già riusciti, con le 270mila persone venute due anni fa da tutto il mondo per la Ryder Cup nel Marco Simone Golf & Country Club, l’impianto attiguo e che fa capo alla vostra azienda.
«Certo, è stato un enorme successo. Ora però vorrei andare oltre, dando vita a una sorta di “ecosistema Biagiotti”: un atelier dove recuperare la vicinanza con le clienti, la realtà del golf, magari un hotel; dare la possibilità di visitare la villa romana del II secolo che sto finendo di restaurare alla memoria di mia madre (appassionata di archeologia, ndr) e la nostra collezione dell’artista futurista Giacomo Balla. Un percorso di 2mila anni e con diverse anime nello stesso luogo. Mi piacerebbe che fosse un modello per un nuovo turismo del made in Italy, sostenuto anche dalle aziende».
A proposito di atelier, sua nonna iniziò aprendone uno in via Salaria. Chi è oggi la cliente Biagiotti?
«Mia madre non trovava vestiti per sé, per una donna che lavorava. Le illustrazioni di René Gruau che decorano ancora le nostre shopper bag la ricordano, una donna in perenne movimento. È così anche oggi, la moda deve essere alleata del vivere. Per esempio, molte ragazze scelgono i nostri blazer bianchi per la laurea, le fanno sentire protette e insieme luminose. Quando creo penso che le cose debbano durare e seguire allo stesso tempo i cambiamenti di una donna, anche nell’arco della stessa giornata».
La passione Biagiotti per la maglieria, quei tessuti per i quali sua madre fu definita dal New York Times «the queen of cashmere», aiuta molto in questo.
«Mi colpisce molto quando le modelle indossano i nostri abiti ed esclamano «it’s so soft!». Troppe volte la moda è esclusiva, nel senso che separa l’abito dal vissuto. Dovrebbe invece essere più inclusiva, prendersi cura delle persone. Se ce la farà, sarà un punto di svolta per l’intero sistema».
Fonte: Il Sole 24 Ore