Le bollicine dei Monti Lessini puntano sulla forza del vitigno autoctono

Le bollicine dei Monti Lessini puntano sulla forza del vitigno autoctono

«Monti Lessini» sulle etichette delle bottiglie prodotte con il metodo Classico e «Lessini Durello» su quelle prodotte con metodo Martinotti-Charmat. È la novità che quest’anno debutterà ufficialmente sulle bottiglie della Doc Lessini Durello (dopo un iter di modifica del disciplinare durato una decina d’anni). Per i meno esperti, semplificando, la differenza sta tra la presa di spuma in bottiglia, metodo nato con lo Champagne e in Italia usato ad esempio per Franciacorta e Trentodoc, o in autoclave (come si fa, ad esempio, per il Prosecco).

In realtà i due prodotti – con caratteristiche e costi differenti – già da tempo sono presenti sul mercato con circa 400mila bottiglie di metodo Classico e oltre 700mila di Charmat, ma senza la distinzione di nome, ora invece obbligatoria. Fatto che creava non poca confusione tra i consumatori e a livello di comunicazione e strategia.
In comune i due spumanti hanno l’uva Durella, un vitigno autoctono della zona di origine vulcanica tra Vicenza e Verona dalla caratteristiche di spiccata acidità che lo rendono particolarmente adatto alle bollicine.

Italianità del vitigno fattore chiave

L’italianità della Durella è una delle leve su cui sta puntando la strategia di crescita del Consorzio. Secondo una ricerca di Nomisma presentata a Verona nel corso della 23esima edizione di “Durello&Friends” – dove “gli amici” sono le altre bollicine italiane ai banchi d’assaggio con cui “l’unico metodo classico del veneto” vuole confrontarsi – «l’essere identitario di uno specifico territorio, la presenza di una denominazione di origine e la zona altimetrica (collina o montagna), rappresentano le caratteristiche distintive di un buon metodo classico rispettivamente per il 18%, 12% e 11% dei consumatori». Rilevante «la provenienza del vitigno: il fatto che sia autoctono è un plus fondamentale per il 17% dei consumatori». Meno rilevante (4%) appare invece «la prerogativa di un lungo affinamento sui lieviti, segno che un metodo classico di qualità può esprimersi anche in versioni leggere e fresche, prive di grande struttura».
«Affinché la curiosità si traduca in valore percepito e reale disponibilità a pagare – commenta Evita Gandini, head of market insights di Nomisma Wine Monitor – risulta però fondamentale la narrazione educativa del metodo, del territorio e della varietà: vitigni autoctoni, suoli vulcanici, versatilità e altitudine costituiscono gli elementi chiave da veicolare al consumatore».

Raddoppio in 10 anni e prospettive

La produzione della Doc in termini di bottiglie è cresciuta del 37% rispetto a 5 anni fa e più che raddoppiata in dieci anni, con un giro d’affari di circa 6 milioni di euro per il solo metodo classico, che ha un prezzo medio in cantina di 15 euro a bottiglia, che poi cresce nella ristorazione dove viene venduto circa il 70% della produzione (il 20% viene acuistato negli shop aziendali e solo una parte minoritaria nella grande distribuzione).

Fonte: Il Sole 24 Ore