Le forme in divenire di Iris van Herpen
C’è un’antica aspirazione che attraversa le arti visive e la filosofia naturale: dare forma al non visibile. I corpi celesti, le simmetrie biologiche, le strutture del pensiero. Iris van Herpen – stilista olandese, formatasi tra scultura, danza e fashion design – si muove in questa stessa corrente, là dove la moda cessa di essere superficie e si trasforma in forma di conoscenza. La grande retrospettiva Sculpting the Senses, allestita al Kunsthal di Rotterdam, è un compendio denso e stratificato di questo progetto. Non si tratta di un’antologia celebrativa, ma di una costruzione concettuale in nove sezioni tematiche – dalla sinestesia alla trasformazione organica – dove oltre cento abiti couture sono presentati come frammenti di un sistema coerente.
Ipotesi morfologiche
Van Herpen non disegna collezioni, ma propone ipotesi morfologiche. Gli abiti sono membrane, scafi, esequie di luce e geometria che assorbono l’ambiente e lo restituiscono in forma di vibrazione visiva. Sono opere che nascono da un’ibridazione radicale, un mix di biologia e tecnologia, artigianato e stampa 3D, calligrafia orientale e anatomia comparata.
Ogni creazione è il prodotto di un pensiero che si estende oltre i confini disciplinari. In Sculpting the Senses nulla è decorativo. Gli abiti – sospesi o in movimento – dialogano con videoinstallazioni, suoni, modelli sperimentali, ma soprattutto con ciò che non si vede: i dati raccolti da neuroscienziati, le forme ricavate da microrganismi o gli algoritmi generativi che sorreggono certe geometrie. Il corpo, nella visione dell’artista, non è né oggetto né misura: è luogo di risonanza. E la moda, in questa prospettiva, non è funzione né consumo, ma forma possibile del pensiero.
Il progetto trova nel Kunsthal di Rotterdam una sede ideale. L’edificio, progettato da Rem Koolhaas con Fuminori Hoshino tra il 1988 e il 1992, è di per sé un dispositivo concettuale: senza collezione permanente, concepito per accogliere mostre temporanee, disegna i percorsi con rampe diagonali, trasparenze industriali, corridoi obliqui che rompono ogni gerarchia dello spazio. È un museo che espone non oggetti, ma narrazioni in mutazione. In questo senso, l’opera di Van Herpen – che rigetta ogni fissità – trova in Kunsthal non una cornice, ma una controparte architettonica.
Uno degli spazi più eloquenti è il Cabinet of Curiosities, che raccoglie schizzi, prototipi, materiali biologici, campioni minerali, modelli di ingegneria naturale: il vocabolario visivo da cui la stilista trae forma e linguaggio. Lì si intuisce con chiarezza che ogni gesto di Van Herpen è radicato nella tradizione epistemologica dell’arte come strumento di osservazione del reale – da Leonardo a Klee, da Buckminster Fuller alla danza di Merce Cunningham.
Fonte: Il Sole 24 Ore