Le imprese italiane in Russia: fare chiarezza sulle sanzioni

Preoccupazione e ansia. Sono i sentimenti che attraversano la comunità imprenditoriale italiana in Russia dopo la nazionalizzazione temporanea di Ariston Thermo, passata sotto la gestione di Gazprom. Pochi imprenditori hanno voglia di parlare, ma a microfoni spenti molti si lasciano andare a riflessioni e in alcuni casi a veri e propri sfoghi sulla gestione dei rapporti con la Russia.

«Le spinte per uscire dalla Russia sono state forti», dice Vittorio Torrembini, presidente di Gim-Unimpresa, da 35 anni a Mosca come rappresentante di aziende italiane, uno dei pochi che parla apertamente. «Eppure – continua – le aziende che se ne sono andate sono poche, quelle che non avevano scelta, le imprese dell’oil and gas e dell’automotive, per esempio. Le altre, pur tra mille difficoltà, sono rimaste».

Secondo il datebase dell’Università di Yale, aggiornato a ieri, su 1.028 grandi imprese che hanno lasciato la Russia dall’inizio del conflitto, le italiane sono l’1,4%, una decina (Generali, Autogrill, Enel, Eni, Iveco). Le statunitensi sono circa 320, le britanniche un centinaio, le tedesche circa ottanta e le francesi una quarantina. Alcune imprese italiane stanno prendendo tempo per valutare la situazione (Barilla, Campari, DeLonghi, Geox, Armani, Intesa Sanpaolo, Maire Tecnimont, Menarini, Saipem), altre hanno ridotto l’attività (Ferrero, Indesit, Luxottica, Pirelli, Valentino) o sospeso gli investimenti (Diadora, Ferragamo, Ferrari, Leonardo, Monclair, Prada, Yoox, Zegna). Ma l’esodo dei grandi gruppi non c’è stato. Anzi, sempre secondo Yale, alcune aziende, tra cui proprio Ariston Thermo, avevano continuato l’attività (trBenetton, Boggi, Buzzi, Calzedonia, Cremonini, De Cecco, Diesel, Fenzi, Fondital, Perfetti, Unicredit, tra gli altri).

L’atteggiamento degli italiani, è il ragionamento che fanno molti imprenditori, è stato cauto. Per questo la nazionalizzazione di Ariston viene vissuta come un avvertimento. Torrembini parla di un segnale in vista del G7 a guida italiana. «Sul tavolo ci sarà la richiesta Usa di confiscare i beni russi all’estero. Ma gli asset russi negli Usa valgono circa sei miliardi, mentre quelli in Europa 280. Con Ariston, Putin lancia un segnale all’Italia sullo stesso terreno delle confische».

Le aziende italiane in Russia sono circa 350 (erano 450 circa prima del conflitto) di cui un centinaio hanno attività produttive. Fuori dai denti, gli imprenditori fanno notare che Roma, a volte, è sembrata più realista del re. Invece di congelare i beni degli oligarchi, dice un imprenditore, l’Italia li ha sequestrati. Sono state fatte delle azioni al limite del provocatorio, come la revoca delle onorificenze conferite ai cittadini russi, mentre Macron si è ben guardato dal togliere la Legion d’onore a Putin.

Fonte: Il Sole 24 Ore