Le meditazioni sulla scrittura di Sally Bonn

Il saggio di Sally Bonn Scrivere scrivere scrivere (Metauro edizioni, collana SOFFÌA, traduzione di Matteo Martelli, con una prefazione e un saggio di Margareth Amatulli, pp. 203, euro 20,00), si situa in un territorio non facilmente ascrivibile.

A metà strada tra racconto autobiografico, libro d’arte, storia di una formazione intellettuale, il libro è soprattutto una meditazione sulla scrittura e sul gesto che esso stesso implica dall’antichità ai nostri giorni. Impregnato di ricordi d’infanzia e di un apparato iconografico che situa il soggetto scrivente in tempi e luoghi altrettanto precisi conferendogli la conformazione di una sorta di “romanzo di formazione”, il saggio sembrerebbe inoltre – in una più ampia accezione – un vero e proprio excursus di storia delle idee.

Scrittura come relazione

Essendo la scrittura relazione, l’autrice non parla solo del sé ma parte dall’atto autobiografico per poi accogliere le testimonianze e la specificità di altri scrittori e scritture. Infatti, se l’atto di scrivere sottintende un lasciare tracce, un essere presenti anche dopo la sparizione (l’eco di Jacques Derrida è ravvisabile), non è un caso che Sally Bonn si avvalga di autori che hanno concentrato la loro opera attorno a questo dilemma: Proust, Benjamin, Robert Walser.

Ma è soprattutto il “gesto” della scrittura a prendere piede, la cui evoluzione va nel saggio di pari passo con la storia dell’evoluzione umana, così come dimostrano i vari supporti sui quali Bonn esercita la sua mano di scrittrice nel corso dei venti capitoli del volume. Non a caso Margareth Amatulli, nella prefazione al libro, nota che “l’opera di Sally Bonn propone uno sguardo inedito sulla scrittura svincolandolo dall’enfasi sul contenuto e focalizzandosi su quello che essa rappresenta di per sé, a partire dalla sua stessa materialità, dalla storia, dai supporti che evolvono col tempo, dai luoghi e oggetti che ne conservano la traccia”, situando l’autrice nel solco dell’“autoteoria”, un nuovo genere femminile inaugurato recentemente negli Stati Uniti da Maggie Nelson, e la cui originalità sarebbe quella di amalgamare il proprio vissuto autobiografico insieme ad una personale riflessione teorica, il tutto all’interno di una interdisciplinarietà di generi di cui il dibattito critico francese avvertiva già la necessità a partire dagli anni ’70.

Atto che rimonta alla notte dei tempi, secondo l’autrice la scrittura non si discosterebbe poi molto dal gesto amoroso, necessario alla sopravvivenza della specie e delle nostre identità, tanto da metterle in relazione in un passaggio cruciale: “E non so perché, questa frase “mettere per iscritto” forse perché risuona con l’altra “stendere su carta” fa pensare a un letto, a lenzuola bianche e a corpi che vi sono distesi. Corpi che si intrecciano tra lenzuola disfatte. A odori, all’umidità. A gesti erotici. E poi, non so se dobbiamo concluderne qualcosa, ma il qualcosa in cui è apparso questo verbo ha coinciso con la redazione, in francese, delle prime epopee e con lo sviluppo della poesia cortese. Scrivere l’amore?”.

Fonte: Il Sole 24 Ore