
Le mostre museali della Frieze Art Week, tra grandi retrospettive e scoperte
L’incertezza politica internazionale e la crisi del mercato dell’arte hanno contagiato le istituzioni londinesi, che hanno risposto con proposte solide e di grande qualità artistica per la Frieze Art Week. Si tratta di artisti internazionali, emergenti e consolidati, che intercettano tutti gli aspetti e le contraddizioni della società contemporanea, ispirando e facendo riflettere. Le loro mostre sono un distillato di visioni che attraversano territori più tradizionali, pittorici, ma anche quelli tecno-simbiotici, dove interrogare le coscienze delle intelligenze artificiali e il valore dell’immaginazione ai tempi di smartphone e chatgpt.
I maestri
I grandi musei propongono gli omaggi alla carriera – a partire dagli artisti inglesi Gilbert & George all’Hayward Gallery, ancora per pochi mesi sotto la guida ventennale dell’influente curatore di origini americane Ralph Rugoff, già direttore della 58. Biennale di Venezia (2019). Pungente e a tratti grottesco, il lavoro del duo di artisti, oggi ottantenni, è costruito su un vocabolario iconografico centrato sull’autoritratto e la performatività del corpo. Le loro griglie di testi, colori e simboli portano in galleria tutti i tabù della società di oggi, dalla religione alla politica e alla sessualità. In Italia sono rappresentati dalla galleria Alfonso Artiaco e di recente anche da Thaddaeus Ropac, galleria internazionale che ha aperto a Milano a gennaio, e ha venduto a Frieze un grande pannello degli artisti a 225mila dollari durante le prime opere di apertura.
A fare da contraltare americano c’è Kerry James Marshall alla Royal Academy of Arts, con la più ampia retrospettiva del suo lavoro fuori dagli Stati Uniti. Sono settantadue i dipinti dell’artista, oltre alla celebre installazione della Biennale di Venezia del 2003 – la scultura «Wake» e il dipinto «Gulf Stream». Centrale è il rapporto con la storia, che deve essere riaffrontata dal punto di vista dell’oppresso, delle popolazioni nere schiavizzate e caricate sulle navi contro la loro volontà, narrando le icone della resistenza come Harriet Tubman e il Black Panther Party (BPP), il mito e l’invisibilità, ma anche la vita moderna nei luoghi simbolo della vita comunitaria: le case – sempre aperte, il parco, il parrucchiere, il nightclub. Tra note musicali, poesie, romanticismo e toni vivaci, Marshall ricostruisce una storia che non esisteva, come Obama in politica, i Carter nella musica e Oprah Winfrey in televisione – tutti suoi fan, sostenitori e prestatori. In fiera, David Zwirner ha portato disegni degli anni ’90, venduti da 65mila dollari in su, ma in asta i grandi dipinti degli stessi anni hanno raggiunto i 20 milioni di dollari nel 2018-19, e molte sue opere sono nella collezione del magnate François Pinault.
Nomi nuovi
Londra è e resta la città delle scoperte e delle mostre che sugellano la carriera degli artisti middle-career. Così dopo il Leone d’argento alla 60. Biennale di Venezia, l’artista nigeriana Karimah Ashadu è protagonista di una mostra personale al Camden Art Centre organizzata in partnership con la Fondazione In Between Art Film della collezionista Beatrice Bulgari, che viaggerà anche alla Renaissance Society di Chicago. La mostra, curata da Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi, presenta due opere video e una nuova video installazione in cui il discorso postcoloniale fa da sfondo a piccole storie quotidiane nei sobborghi caotici di Lagos, dove incontra cowboy, culturisti e comunità di strada. Ashadu racconta una società patriarcale che non risparmia nessuno, in cui il corpo maschile diventa scudo, merce e territorio di un conflitto tra individuo e un mondo fatto di contraddizioni culturali, politiche ed economiche filtrato con tecniche filmiche sempre diverse, dalla spy camera in strada al ritratto intimistico.
Il lavoro di Ashadu, alunna del prestigioso De Ateliers di Amsterdam, è in mostra anche alla Biennale di Istanbul fino al 23 novembre, e in galleria da Sadie Coles HQ a prezzi da 25mila euro. Sempre in tema biennali, South London Gallery accoglie Yto Barrada, che rappresenterà la Francia alla 61. Biennale di Venezia in scena la prossima primavera. L’artista franco-marocchina, fondatrice di Mothership a Tangieri – centro d’arte e residenze in tre ettari di giardino da cui si intravedono le coste spagnole – ha vinto il Premio Mario Merz nel 2024, da cui la mostra nell’omonima Fondazione dedicata al maestro dell’Arte Povera nei mesi scorsi, e conta la collezionista Nicoletta Fiorucci tra i suoi sostenitori. La mostra londinese, propedeutica al palcoscenico veneziano, è una sintesi di interessi che intrecciano arte e politica attraverso un repertorio simbolico di colori e forme attraverso i quali Barrada esplora i processi di trasmissione e diffusione della conoscenza, mai neutrali, refusi del passato nel presente. Come nell’allestimento, dove le strisce bianche e rosa dei muri della SLG sono un riferimento alla moschea-cattedrale di Cordova in Spagna – iconico luogo di incontro tra architettura araba, rinascimentale e gotica, e alle strisce sbiadite –pur sempre prodotte da copyright – dell’artista francese Daniel Buren nell’église du Sacré-Coeur di Casablanca. Così Barrada, rappresentata da Pace Gallery con opere da 30mila euro in su, sfuma i confini tra formalismo e militanza, toccando temi della contemporaneità, dal cambiamento climatico alla resistenza del popolo palestinese.
Fonte: Il Sole 24 Ore