
Le norme e la giurisprudenza mutevoli alimentano i conflitti
Il contenzioso di lavoro è un fenomeno che non dipende solo dalla buona o cattiva qualità dei rapporti tra imprese e lavoratori; di certo uno scadimento di tali rapporti può far aumentare i conflitti, così come un miglioramento delle relazioni può ridurre la propensione ad avviare delle cause, ma sarebbe ingenuo limitare l’analisi del fenomeno a questa considerazione.
Quando il contenzioso cresce – come sta accadendo nel nostro Paese, dove il numero di controversie, drasticamente sceso in occasione della pandemia, è progressivamente ritornato ai volumi antecedenti all’emergenza Covid – bisogna cercare di capire quali sono i fenomeni che incidono su tale aumento.
Vero è che sui numeri generali ha un peso decisivo l’esplosione del contenzioso relativo ai rapporti di pubblico impiego, soprattutto quello nel comparto della scuola. Ma c’è anche un altro elemento strutturale che mantiene alti i volumi delle cause, non nuovo nel nostro ordinamento ma tornato prepotentemente alla ribalta: la nuova stagione di incertezza giuridica che ha investito il diritto del lavoro.
Dalla Corte costituzionale alla Cassazione, dall’appello al primo grado, le pronunce degli ultimi anni hanno messo in discussione le norme ispirate a criteri oggettivi, in favore del ritorno alla centralità della valutazione discrezionale della giurisprudenza: un criterio che, per definizione, toglie certezze, amplia le soluzioni interpretative e favorisce la conflittualità.
Licenziamenti
Un esempio significativo è rappresentato dalle sentenze della Consulta in materia dilicenziamenti. Prima l’intervento sul regime delle tutele crescenti, poi la dichiarazione di incostituzionalità dei meccanismi rigidi di quantificazione dell’indennizzo, per finire con la recente sentenza sulle piccole i imprese: interventi accomunati dalla volontà di rimettere al giudice una valutazione più ampia rispetto alle indicazioni del Jobs Act, con inevitabili oscillazioni da foro a foro, che diventano un incentivo a fare causa.
Fonte: Il Sole 24 Ore