leadership e benessere secondo Lifeed
Una leva strategica capace di migliorare l’engagement dei team, di ridurre il turnover, di stimolare l’innovazione e generare un valore tangibile per le aziende: quale componente risponde a questi requisiti più del “prendersi cura” delle persone che compongono un’organizzazione? E perché il termine “cura”, un tempo confinato alla sfera privata e personale, è oggi sinonimo di skill fondamentale per chi gestisce persone e aziende?
A tali quesiti prova a rispondere Riccarda Zezza, fondatrice e Chief Science Officer di Lifeed, nel suo nuovo libro edito da FrancoAngeli, “Cura”, un testo che approfondisce come questo concetto sia una dote essenziale per affrontare le sfide e le complessità di un mondo del lavoro in profonda trasformazione, tra modelli in transizione e una sempre più veloce diffusione delle tecnologie digitali.
La cura, come sostiene l’autrice, non è solo gentilezza e non è neppure un gesto accessorio, bensì la vera infrastruttura del lavoro umano. E se la capacità di ascolto e di creare ambienti inclusivi sono abilità essenziali per i “nuovi” leader, molte aziende stanno già riconoscendo e valorizzando la cura come un vero e proprio asset organizzativo
Fra queste, un centinaio di realtà in Italia e all’estero hanno adottato il metodo sviluppato in Lifeed (Life Based Learning) per valorizzare le esperienze di vita come fonte di apprendimento strategico: genitorialità, caregiving e volontariato, nello specifico, non devono rimanere confinate al rango di esperienze marginali al lavoro ma considerate pratiche che permettono di allenare skill fondamentali come la resilienza, la negoziazione, l’ascolto empatico e la gestione dei conflitti.
Attraversare i confini tra vita personale e professionale
Al cuore di questo metodo, come spiega Zezza, c’è il concetto di transilienza, ovvero sia la capacità di trasferire le competenze da un contesto all’altro, attraversando i confini tra vita personale e professionale e permettendo di arricchire mutuamente queste due sfere. La prima vera sfida cui sono chiamati i manager (e in generale chi ha la responsabilità del lavoro di altre persone) è dunque quella di rendere visibili queste competenze all’insegna di una leadership più umana e al contempo capace di integrare efficienza senza rinunciare alle performance. Per raggiungere questo obiettivo serve superare le resistenze culturali comuni tra i manager (per esempio il “Non ho tempo” o il “Non fa parte del mio ruolo”) e avere piena consapevolezza del fatto che cura e performance non sono in conflitto: le aziende che investono nel benessere dei propri dipendenti ottengono infatti una maggiore retention e sono maggiormente attrattive, migliorando al contempo la propria reputazione. «Non si tratta di scegliere tra numeri e persone – sottolinea ancora Zezza – perché la cura è la competenza che permette di coniugare risultati e relazioni».
Fonte: Il Sole 24 Ore