leadership inclusiva e trasformazione umana

leadership inclusiva e trasformazione umana

Ex atleta professionista nella pallavolo di serie A, è stata inserita nella classifica Forbes Top 100 women e nel prestigioso ranking 200 Global Women Power Leaders di White Page International. Claudia Georgia Banella è una manager (e mamma di due figli) con un passato nel mondo dello sport che ha le idee molto chiare sul come vivere e gestire un’organizzazione e le ha “allenate” nel corso degli anni e in modo particolare negli ultimi due alla guida della filiale italiana di Karl Storz, storica multinazionale tedesca attiva nel campo nell’endoscopia.

In un Paese come l’Italia notoriamente non all’avanguardia per partecipazione femminile al lavoro, ben al di sotto di Germania, Francia e Spagna, l’esempio di Banella suona come da monito per scardinare alcuni (ma persistenti) luoghi comuni, a cominciare da quello che preclude la possibilità di conciliare famiglia e un lavoro di elevata responsabilità. Nella sua azienda, Banella ha puntato su una politica di assunzioni incentrata su curiosità, attitudine e senso di appartenenza e alzato al 61% la percentuale dei nuovi ingressi in organico rappresentato da donne, abbassando l’età media complessiva intorno ai 41 anni. Programmi di coaching e di climate building, percorsi di ampliamento delle soft skill e di formazione manageriale con il modello “Leadership Prism”, un esteso piano di people empowerment e totale parità di retribuzione tra uomini e donne con un’introduzione strutturata dello smart working al 50%, che si completa con l’adozione di un sistema di “flexible benefits” per proteggere il potere di acquisto dei dipendenti: queste alcune delle iniziative avviate in Karl Storz che portano la sua firma e che hanno permesso all’azienda di ottenere l’ambito riconoscimento Great Place to Work 2024 e il quarto posto assoluto nella classifica nazionale Great Place to Work for women 2025. L’abbiamo incontrata per chiederle di raccontarci come vive il suo ruolo.

Quanto l’esperienza di ex atleta professionista l’ha aiutata nella carriera fuori dal campo?

Lo sport, soprattutto se è di squadra ha alcune componenti fondamentali e fra queste metto davanti a tutte il fatto che va a focalizzare le persone su valori, impegno, disciplina e sacrificio. Quando da ex atleti si entra nel mondo del lavoro non si è quindi spaesati rispetto a certi requisiti standard e sicuramente ho tratto beneficio dalla mia precedente esperienza. C’è però un “limite” da considerare, se tale possiamo definirlo, ed è la propensione al giocare sempre per vincere e a non accontentarsi mai. In azienda ho imparato invece che serve celebrare i piccoli successi e le piccole conquiste, perché non tutti hanno questa propensione a puntare all’eccellenza continua, al miglioramento costante e progressivo. Affrontare le diverse velocità che caratterizzano il modo di lavorare di una grande organizzazione è stata per me una grande lezione, che mi ha insegnato a sviluppare la capacità di rallentare per coinvolgere tutti i componenti del team e per assecondarne le esigenze rispetto agli obiettivi aziendali. La grande sfida, come azienda, è poter fare la differenza partendo da questi presupposti.

Essere manager in un contesto di permanente incertezza e in mondo sempre più digitale: cosa significa per lei?

Sono manager da oltre 15 anni e per la gran parte della mia carriera mi sono sentita tale, con il compito di ottimizzare e migliorare processi e sistemi. Da quando sono in Kark Storz, invece, è cambiata la percezione, perché ho assunto la responsabilità di essere la guida di un gruppo che è cambiato quasi interamente. Il 70% della forza lavoro attuale sono nuovi assunti, la crescita delle attività è stata repentina e oggi mi sento per questo più imprenditrice che manager, mettendo a disposizione dell’azienda le mie competenze di professionista e di ex atleta. Sto vivendo e affrontando un’esperienza trasformativa, e se le nuove tecnologie possono essere un grande acceleratore di processi anche complessi, anche in ambito sanitario e chirurgico quale è il nostro, è pur sempre vero che le aziende sono fatte di persone e delle loro aspirazioni. E chi gestisce persone ha la responsabilità di prendere il meglio dal proprio gruppo e non semplicemente di trasferire compiti da eseguire: dobbiamo creare e condividere visione, essere allenatori di talenti e circondarci delle persone migliori nei ruoli chiave dell’organizzazione.

Fonte: Il Sole 24 Ore