L’Italia produce 12,5 miliardi di uova all’anno: +10% i consumi a Pasqua

L’Italia produce 12,5 miliardi di uova all’anno: +10% i consumi a Pasqua

Anche quest’anno la tradizione sarà rispettata e sulle tavole di Pasqua non mancheranno le uova fresche, rigorosamente made in Italy, nemmeno per soddisfare quel 10% di domanda in più che si registra in occasione di quest’importante festività.

«In Italia il nostro settore è caratterizzato da un rapporto equilibrato tra domanda e offerta e, quindi, non corriamo il rischio di rimanere senza uova» esordisce Gian Luca Bagnara, presidente di Assoavi, l’associazione di filiera che rappresenta l’80% della produzione. Nel nostro paese si producono 12,5 miliardi di uova, che vanno per il 40% alle industrie di trasformazione (in particolare nel mondo della pasta e dei prodotti da forno) e per il restante 60% finiscono in vendita fresche sul mercato al consumo. Negli ultimi due anni la domanda in entrambi questi canali è aumentata mentre la produzione è lievemente diminuita, benché il tasso di autoapprovvigionamento resti al 98%.

A pesare è stata la conversione dalle gabbie arricchite ai sistemi alternativi (come quelli all’aperto), oggi adottati dal 70% degli allevamenti a fronte di un investimento di circa 300 milioni di euro, che ha determinato una riduzione delle ovaiole. Anche se ora il loro numero sta progressivamente risalendo. «Questi importanti interventi hanno reso il nostro comparto più moderno, più sicuro e più attento al benessere animale – aggiunge Bagnara –Quando il mercato va bene ci lamentiamo di questo sistema ultra-controllato ma quando accadono problemi sanitari, come sta avvenendo negli Stati Uniti, ne riconosciamo i benefici».

L’influenza aviaria è arrivata sì anche in Italia ma con un impatto meno devastante rispetto agli Usa, dove mancano all’appello almeno 50 milioni di ovaiole (e i prezzi sono schizzati con picchi del 237%). Ossia più di tutte quelle allevate in Italia (42 milioni). Per diversificare il rischio e aumentare i volumi, alcune aziende hanno aperto allevamenti al di fuori delle tradizionali zone produttive, come Eurovo che ha investito in Marche e Umbria. Ma i tempi richiesti per avviarli (per ottenere le necessarie autorizzazioni servono da due a quattro anni) non permettono di tenere il passo con la crescita della domanda.

Fonte: Il Sole 24 Ore