Lo shutdown si abbatte anche sulla basi Usa in Italia: voli a terra e stipendi a rischio per 4mila lavoratori
Sono oltre 4mila in lavoratori italiani impiegati nelle basi militari americane nella Penisola che rischiano di non vedere lo stipendio finché non si sbloccherà lo stallo causato dallo shutdown negli Usa, ovvero il blocco del bilancio federale americano. A lanciare l’allarme sono in queste ore i sindacati Fisascat Cisl e Uiltucs, che venerdì 7 novembre hanno dichiarato lo stato di agitazione, tornando a chiedere un intervento del governo italiano sulla scia di quelli già messi a terra da altri paesi europei che si trovano nella stessa situazione. La richiesta è quella di tutelare i diritti dei dipendenti italiani e di garantire il pagamento degli stipendi. L’incertezza potrebbe durare mesi.
I dipendenti italiani sono assunti direttamente dal ministero della Difesa statunitense
La questione è complessa. L’Italia, spiega Roberto Frizzo, coordinatore nazionale per Uiltucs per i lavoratori italiani nelle basi Usa, conta cinque postazioni: Aviano, dove è stanziata l’Airforce, Vicenza e Livorno, per l’Esercito, Napoli e Sigonella della Marina. In tutto parliamo di 4100 dipendenti italiani (oltre 1.500 lavoratrici e lavoratori tra Vicenza, Aviano e Livorno), assunti direttamente dal ministero della Difesa statunitense nell’ambito di un accordo bilaterale. L’intesa risale al 1951, con un contratto collettivo ad hoc.
Il contratto e gli stipendi
Il Ccnl prevede un ampio range di posizioni. Una base militare è una sorta di piccola città e in quanto tale necessita di numerose professionalità (metalmeccanici, chimici, edili, commercianti) e annesse retribuzioni. Gli stipendi vanno dai 1400 euro per chi si occupa delle pulizie ai 3mila euro per i dirigenti, con uno stipendio medio che si aggira quindi intorno ai 2mila euro. Applicare di volta in volta i singoli contratti di categoria sarebbe pressoché impossibile, quindi tutti questi lavoratori sono stati raccolti sotto l’unico ccnl, previsto dall’accordo bilaterale Italia-Usa, firmato da Fisascat Cisl e Uiltucs (il cui ultimo rinnovo risale all’aprile del 2024), secondo cui la forza lavoro che gli americani impiegano in Italia risponde alle condizioni dello Stato ospite e che, all’articolo 30, stabilisce che le retribuzioni vanno pagate entro l’ultimo giorno del mese lavorato.
Il nodo giuridico
Tuttavia, il blocco delle attività amministrative imposto dallo shutdown a partire dallo scorso 1° ottobre pone un problema di natura giuridica: la legislazione americana prevede che i lavoratori possano non essere pagati, quella italiana invece no. Nel dettaglio: la procedura di shutdown consente alle amministrazioni di lasciare a lavoro i dipendenti ritenuti “indispensabili”, che non vengono pagati ma hanno la garanzia di un rimborso degli arretrati allo sbloccarsi dello stallo, e di mettere invece in congedo quelli non indispensabili, senza peraltro l’assicurazione di ricevere gli stipendi “persi”, perché la decisione è nelle mani del Presidente in carica. In Italia questo scenario non è contemplato: «Non è legale lavorare senza essere pagati, né lo è essere messi in congedo senza forme di ammortizzazione sociale, come ad esempio la cassa integrazione», ha evidenziato il coordinatore Uiltucs.
A Base Usaf Aviano in 409 senza stipendio per shutdown
Dal 30 ottobre scorso sono 409 i lavoratori italiani della Base Usaf di Aviano (Pordenone) alle dipendenze dello stato americano ai quali non è stato pagato lo stipendio a causa dello shutdown statunitense. Una situazione che riguarderebbe anche un altro migliaio di lavoratori nel resto d’Italia. Nonostante gli incontri dei sindacati – in particolare giovedì con il Vice comandante della Base – non si hanno notizie in merito a un eventuale pagamento dello stipendio, né indicazioni sul futuro. Venerdì 7 novembre si è svolta una partecipata assemblea dei lavoratori aperta anche ai politici locali, a tratti con confronti anche polemici, per trovare una soluzione. Alcuni lavoratori sottolineano che al mancato versamento della paga si sommano le spese quotidiane, più di qualcuno per raggiungere la Base deve percorrere decine di chilometri. Forme alternative di prestazione di opera, come il telelavoro, non sono contemplate. «Per questi dipendenti – spiega Angelo Zaccaria della Uiltuct-Uil – vige lo Statuto dei lavoratori italiani, quindi la forza lavoro non è assoggettabile al blocco governativo statunitense». E in tal senso ha chiesto anche «un intervento della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni». «Non mi è mai successa una cosa del genere in 50 anni», osserva Zaccaria. Non escludendo tra le iniziative allo studio anche la possibilità di proclamare uno sciopero. «Io sono propenso», annuncia. Una delle soluzioni alle quali si sta lavorando è un prestito che potrebbe essere concesso da un istituto bancario che potrebbe anticipare gli stipendi.
Fonte: Il Sole 24 Ore