Lombard Odier: «La minaccia all’indipendenza Fed, il vero problema dei mercati»
«La minaccia all’indipendenza della Federal Reserve è il vero problema». Michael Strobaek va dritto al punto: il responsabile globale degli investimenti di Lombard Odier mantiene ancora una visione sostanzialmente costruttiva sui mercati finanziari, oggi sul punto di «lasciare la comoda autostrada» lungo la quale hanno viaggiato negli ultimi anni, ma per imboccare «una via di montagna più impegnativa» e non certo per «finire in un dirupo». Fuori dalla metafora, le sue parole si traducono in una indicazione di sovrappesare ancora le azioni, soprattutto quelle dei Paesi emergenti, e in un approccio più favorevole verso le obbligazioni dei mercati emergenti in valuta forte e i titoli societari investment grade, ma anche in una maggiore cautela verso i titoli di Stato dei mercati sviluppati.
Ansie eccessive sull’obbligazionario
«I timori degli investitori sulla tenuta delle finanze pubbliche che sono alla base dell’aumento dei rendimenti a lungo termine sono legittimi, ma non vanno esagerati», spiega con convinzione Strobaek, incontrato da Il Sole 24 Ore durante l’inaugurazione della sede innovativa che il wealth e asset manager globale indipendente, con 229 anni di storia e attivi in gestione per 323 miliardi di franchi svizzeri, ha costruito sulle rive del Lago di Ginevra. «Gli Stati Uniti e il mondo saranno in grado di evitare la recessione – questa la sua motivazione – perché il mercato del lavoro americano resta forte e permetterà ai privati di mantenere una certa crescita dei consumi e anche dalle banche centrali continuerà ad arrivare sostegno alla crescita attraverso tassi più bassi».
Il baluardo di Washington
Non toccate però la Fed, e la sua capacità di prendere le decisioni in autonomia dal potere politico, perché è proprio da lì che potrebbero arrivare sorprese poco gradite. «Il fatto che Donald Trump possa mettere ancora più in discussione il presidente Jerome Powell o che, peggio ancora, riesca a inserire alla guida della Banca centrale una persona percepita come uno strumento di governo è davvero una cattiva notizia per i mercati» avverte l’esperto di Lombard Odier, pronto anche a ricordare i tre casi più recenti nella storia in cui i banchieri di Washington hanno rappresentato il principale baluardo nella difesa della stabilità finanziaria: la Grande crisi del 2007-2008, il successivo lancio dello strumento non convenzionale del quantitative easing e la pandemia.
Trump non è il primo nel suo ruolo ad aver espresso critiche contro la Banca centrale, ma desta certo molta più preoccupazione «perché sta andando in profondità nel cercare il controllo delle istituzioni, non soltanto quelle monetarie» riconosce Strobaek. Anche perché l’idea che il presidente Usa non sia poi così tanto disposto a fare stavolta marcia indietro come è avvenuto su altre vicende nei mesi scorsi – tanto da meritarsi l’acronimo Taco, Trump always chicken out, dagli operatori di mercato più spavaldi – si fa spazio nella sua mente. «Trump vuole semplicemente tassi a breve più bassi – fa notare – così da far ripartire l’economia in vista delle elezioni cruciali di metà mandato e al tempo stesso rifiuta di accettare che la politica sui dazi rappresenti un ostacolo per raggiungere questo obiettivo».
Una mossa controproducente
Il problema, appunto, è che con una condotta simile rischia di ottenere esattamente l’opposto di ciò che desidera. «Finirà per provocare un aumento dei tassi a lungo termine perché aumenterà il premio al rischio richiesto per investire sui Treasury e indebolirà ancora di più il dollaro» suggerisce Strobaek, disegnando uno scenario simile a quello successivo al Liberation Day del 2 aprile, con movimenti «forse meno violenti, ma in grado di persistere in modo maggiore nel tempo». Un deprezzamento ulteriore del 10-15% del biglietto verde farebbe scattare il vero allarme: per gli Stati Uniti «che vedrebbero definitivamente compromesso il loro status di rifugio sicuro», ma anche per il resto del mondo.
Fonte: Il Sole 24 Ore