Louis Vuitton sull’Isola Bella, l’equilibrio tra mitologia lacustre e futurismo
Il tema vero delle sfilate resort, che in queste settimane stanno portando il popolo della moda per ogni dove – con buona pace dei proclami sulla sostenibilità di appena tre anni fa – sono le location. È il luogo a raccontare la storia, a impressionare, a trascinare: più è esotico, meglio è. Non che in Italia si debba andar lontano per trovare meraviglie poco esplorate e per chi italiano non è il Bel Paese rimane una miniera di luoghi pittoreschi. Louis Vuitton, nella persona del direttore creativo Nicolas Ghesquière, sceglie l’Isola Bella, sul Lago Maggiore: un gioiello naturalistico dal fascino misterioso e crepitante come un fremere di stucchi barocchi, legato da secoli alla famiglia Borromeo.
Palazzo, giardino, e intorno l’acqua: ce ne è davvero abbastanza per un fantasy dal sapore lacustre. Ci si mette anche la pioggia fitta, che costringe a spostare la sfilata in interni, ma che regala una patina di romanticismo. «Tutto nasce da una idea, forse un paradosso, di resort botanica – racconta Ghesquière –. Questo mi ha subito fatto venire in mente le Isole Borromee, e in particolare l’Isola Bella perché avevo sentito storie incredibili al riguardo. La suggestione stessa dell’isola è un viaggio. Una destinazione favolosa, con grotte rivestite di mosaici, statue, un unicorno (emblema della famiglia Borromeo, ndr) terrazze, un atrio. È un luogo in cui trovo affinità personali come I racconti di Hoffmann o i giardini pensili nelle vicinanze, dove furono girate alcune scene di Star Wars che sono sempre stati riferimenti importanti per me. Isola Bella è una storia a sé, una sorta di archeologia del futuro. Il mistero dei laghi che si immagina possano essere popolati da esseri fantastici. Ho immaginato una creatura mitica, che seduce gli uomini mettendo gioielli sulla riva per attirarli nelle profondità. Ma questa volta è lei che si avventura sulla terraferma per riconnettersi con il regno vegetale. La collezione segue una progressione da acquatica a botanica».
In altre parole il luogo è romantico, sognante, ma il futurismo lustro e compatto, venato di nostalgie per la fantascienza anni 80, che di Vuitton è la sigla, resta. Si tinge però di una patina forse più delicata, pittorica, sicché il neoprene, materiale d’elezione per Ghesquière, si ricopre di scaglie e paesaggi dipinti a mano, come il costume di una recita scolastica. Con i loro scafandri decostruiti, drappeggi liquidi bloccati in panneggi marmorei dal silicone, copricapi piumati (tutti made in Italy) e scarpette da scoglio, le creature acquatiche di questa collezione hanno un che di fumettistico.
Ghesquière parla di unione di ordinario e straordinario, evidente in un passaggio di pullover alquanto semplici indossati con gli shorts, di cappotti double dal taglio esatto, come nel ricorrere degli stivali tipo camperos persino con gli abiti da sera, pensati come infiorescenze giganti danzanti intorno al corpo. Di fatto, però, la collezione è un esercizio di stile, una successione di creazioni difficili da immaginare, con le loro linee ferme e aerodinamiche, lontano dal contesto dello show. La moda è cesellata fin nel minimo dettaglio, ma rimane quasi chiusa in una bolla, da leggere piuttosto come cornice al piatto principale: gli accessori, le borse in particolare, presenti e centrali quasi con ogni look. Borse piccole, a mano, e poi secchielli, e un modello trapuntato che ricorda gli interni di un baule e si riconnette all’estetica del viaggio, fondativa per la maison.
Nonostante l’indubbio talento, Ghesquière sembra almeno in parte frenato in una formula che si ripete senza troppo mutare. Sarà interessante vedere cosa produrrà l’arrivo di Pharrell Williams alla direzione creativa dell’uomo di Louis Vuitton (la sfilata della sua prima collezione, il 20 giugno aprirà la settimana della moda di Parigi) in termini di “onda d’urto” sulla donna. La concorrenza tra Ghesquière e Williams potrebbe avere un impatto positivo e progressivo, invero necessario.
Fonte: Il Sole 24 Ore