L’ultima sera di Spalletti, gli allenatori passano ma il calcio italiano va sempre più giù

L’ultima sera di Spalletti, gli allenatori passano ma il calcio italiano va sempre più giù

A parte l’Inter, nelle altre squadre di vertice bisogna cercarli con il lanternino. Soprattutto nei ruoli chiave. Guardiamo il Milan, dove a parlare l’italiano è rimasto solo Gabbia. Anche la Nazionale alla fine ne risente. Se saltano per infortunio quei tre quattro che fanno la differenza, gli altri sono giocatori di seconda fila, poco abituati ai confronti internazionali. Siamo anche molto presuntuosi. E dimentichiamo che noi in campo avevamo Rovella e Udogi, loro invece quel satanasso di Haland e quel talento ubriacante di Nusa, gioiellino della Bundesliga.

Lo dice anche Fabio Capello, bisogna cambiare la mentalità dei vivai, far giocare di più i nostri talenti, obbligare a schierare una soglia minima di italiani nell’undici titolare in tutte le partite. Ma sono prediche inutile. Se Capello avesse fatto lui il ct, prima o poi sarebbe finito come Spalletti.

Come sempre siamo molto teatrali. Inutile strapparci le vesti, gridare allo scandalo per i nostri adolescenti orfani della estati Mondiali. Il problema dell’Italia è che ci sopravvalutiamo. Continuiamo a rifarci a un glorioso passato – le notti magiche, l’urlo di Tardelli, gli occhi spiritati di Totò Schillaci – sparito da un pezzo. L’ultimo vero trionfo, a parte l’improbabile Europeo di Londra, risale a Berlino 2006 con Lippi. E poi? Quanti ct sono saltati strada facendo? Vogliamo parlare di Prandelli dimissionario dopo il flop in Brasile nel 2014? E la cacciata nel ludibrio generale di Giampiero Ventura nel 2017 per il primo mondiale mancato?

E l’imbarazzante balletto con lo stesso Mancini, reo d’aver fatto saltare per la seconda volta consecutiva il Mondiale nel 2022 per quel tremendo spareggio con la Macedonia? E adesso è toccato a Spalletti, pur accolto come l’uomo della provvidenza, arrivato in soccorso alla patria dopo la non esaltante fuga in Arabia del suo predecessore.

Artefice dello scudetto del Napoli, Luciano sembrava l’uomo giusto al posto giusto. Un vincente, un allenatore che ha girato il mondo e fatto bene perfino in una piazza difficile come Roma. Dopo neanche un anno, da questa avventura ne esce a pezzi, cacciato con le lacrime agli occhi da un Presidente, Gabriele Gravina, abilissimo ad evitare ostacoli e dimissioni, nonostante un Mondiale perso per strada e un ultimo Europeo da museo degli errori.

Fonte: Il Sole 24 Ore