
M5s al bivio dell’identità, ma Conte punta all’egemonia sul campo largo
Nel week end gli iscritti del M5s sono chiamati a votare, rigorosamente on line, la conferma di Giuseppe Conte a presidente del M5s dopo quattro anni dalla sua prima elezione. E, soprattutto, il 23 e 24 novembre si vota in Campania dove l’ex presidente della Camera e volto storico del movimento Roberto Fico guida la coalizione di centrosinistra per succedere al dem Vincenzo De Luca, che lo sostiene con la sua lista A testa alta: perdere non è contemplato, né per il M5s né per il Pd schleiniano che ha voluto e supportato la storica candidatura. Per questo il caso di Chiara Appendino, l’ex sindaca di Torino dimessasi da vicepresidente del partito per protestare contro la linea dell’alleanza con il Pd in nome della “purezza” delle origini, viene subito sopito e l’assemblea dei gruppi parlamentari si trasforma in un generico sfogatoio.
Caso Appendino silenziato (per ora): occhi sul voto in Campania
Certo, in caso di debacle in Campania (l’asticella nella regione più “grillina” d’Italia è almeno al 10%) il vaso di Pandora dello scontento si riaprirebbe. Ma la verità è che alla linea dell’alleanza con il Pd per l’alternativa “progressista” al governo Meloni non c’è alternativa. E, una volta fatto fuori il fondatore Beppe Grillo (letteralmente: nel novembre del 2024 è stata votato dall’assemblea degli iscritti l’abolizione della figura del Garante), sulla linea Appendino c’è solo il solito Danilo Toninelli o quasi. Tra i critici c’è sicuramente Sarah Disabato, coordinatrice de M5s in piemonte, così come le senatrici Mariolina Castellone ed Elena Sironi, il deputato Antonio Iori e l’ex senatore Alberto Airola: una piccola rete pro Appendino che potrebbe allargarsi solo in caso di gravi sconfitte elettorali come alternativa a Conte ma che per ora non è in grado di sabotare la linea.
A fronte della perdita di consensi aumenta la marcatura sui temi identitari
Ma è chiaro che il crollo continuo delle percentuali alle amministrative, con un M5s ridotto attorno al 5%, preoccupa anche la dirigenza contiana: segno, come per altro dimostrano i flussi elettorali, che gli elettori “grillini” restano volentieri a casa quando il movimento è alleato con il Pd e soprattutto quando quando si tratta di andare a votare per un candidato del Pd. C’è insomma una buona fetta di elettorato che la pensa come Appendino e che in mancanza di corsa identitaria si rifugia nell’astensione. Da qui l’insistenza di Conte sui temi cari al M5s, come dimostra anche la sigla degli accordi di coalizione nelle regioni al voto, dalla Toscana alle Marche che hanno già votato fino alla Campania e alla Puglia dove si vota a fine novembre: reddito di cittadinanza regionale, anche se non è chiaro come possa essere garantito a livello locale quando è stato abolito a livello centrale, il no ai rigassificatori e ai termovalorizzatori e via dicendo. Paletti identitari per il M5s ma che creano non pochi problemi a un Pd storicamente più pragmatico, almeno sui territori.
L’obiettivo di Conte è l’egemonia sul campo largo, fino alla premiership
L’obiettivo di Conte è d’altra parte quello di conquistare l’egemonia del campo largo proprio a partire dall’imposizione dei temi e dell’agenda politica. E di certo una leadership dem molto spostata a sinistra come quella di Elly Schlein finisce per agevolarne il disegno pur senza volerlo. Un’egemonia che l’ex premier ritiene di poter conquistare anche in prima persona facendo leva sulla sua esperienza a Palazzo Chigi dal 2018 al 2021 e sulla sua immagine rassicurante di premier della pandemia. E qualcuno tra i dem, come il gran consigliere di Conte stesso Goffredo Bettini, sembrano lavorare nella stessa direzione. Se alla fine ci saranno primarie di coalizione per scegliere il candidato premier della coalizione ci saranno perché il leader del M5s riterrà di poterle vincere, magari contando sulla divisione degli elettori di riferimento del Pd con una candidatura di disturbo come quella della sindaca di Genova Silvia Salis. E in questo schema se non ci saranno le primarie è perché Conte avrà deciso di non partecipare e di proporre al Pd un “civico” in grado di rappresentare tutti, come ad esempio il sindaco di Napoli e presidente dell’Anci Gaetano Manfredi, che di Conte è stato ministro dell’Università e della ricerca nel secondo governo giallorosso. Insomma, per Conte la posta in gioco è molto più alta di qualche punto percentuale eventualmente perduto dal M5s alle urne. Appendino è avvertita. E Schlein pure.
Fonte: Il Sole 24 Ore