
Magazzini, hotel e retail: in Europa, sale & leaseback a quota 16 miliardi nel 2024
Vendere a una società di leasing il proprio hotel, uno o più centri commerciali, magazzini logistici o poli produttivi per poi, da quella stessa società, prenderli in affitto senza spostare arredi o macchinari come se nulla fosse si chiama sale & leaseback. Un’operazione finanziaria diffusa negli Usa e molto meno in Europa, dove è cresciuta in questi anni di tassi alti e rubinetti chiusi delle banche e del credito tradizionale. Ma ora che i tassi sono tornati a livelli accettabili, i mutui sono ripresi e, nonostante le incertezze economiche, non sono stimati al rialzo, ha ancora senso ricorrervi?
Secondo i dati citati dal Q4 Capital market Outlook di Colliers, nel primo trimestre il volume di sale & leaseback in Europa ha raggiunto 4,6 miliardi di euro nel quarto trimestre 2024, con un calo dell’8% rispetto allo stesso periodo del 2023 e del 64% rispetto ai livelli massimi registrati nel 2019. In tutto il 2024 si stima un volume di investimenti di 16 miliardi, in flessione rispetto ai 18 miliardi del 2023. A gennaio la tedesca Grr Garbe Retail ha realizzato la sua prima acquisizione in Italia, rilevando per 222milioni sette ipermercati e 15 supermercati da Coop Alleanza 3.0 con questa formula.
«Le aziende cercano di sbloccare la liquidità disponibile dai loro asset immobiliari in un momento in cui l’accesso ai finanziamenti tradizionali è costoso e selettivo – spiega Christopher Mertlitz, managing director head of european investments di W.P. Carey –. L’Italia e gran parte dell’Europa si reggono sulle eccellenze manifatturiere di nicchia, spesso non comprese del tutto neppure dalle banche, peraltro strette da vincoli di liquidità. Sono riferimenti nel loro segmento produttivo ma spesso sottocapitalizzate. Con il sale & leaseback l’impresa ottiene liquidità immediata dalla vendita del bene, ne mantiene l’utilizzo, anche se non ne è più proprietaria, e in alcuni casi, può riacquistarlo alla scadenza del leasing e può usufruire di una flessibilità finanziaria che le consente di gestire meglio la liquidità aziendale, liberando capitali per nuove attività o investimenti. Le imprese italiane ed europee sono spesso sedute su un patrimonio immobiliare di grande valore e neppure se ne rendono conto. In Italia c’è un mare di opportunità».
Per Mertlitz non meno evidenti sono i conseguenti effetti sul bilancio. «Per le aziende è un taglio dei costi. Non solo può ridurre l’indebitamento, sostituendo un finanziamento tradizionale con un canone leasing, ma si convertono attività illiquide in liquidità, si liberano capitali che possono essere allocati in investimenti a più alto rendimento, come R&D , acquisizioni strategiche o espansione operativa, miglioramenti in chiave Esg in adeguamento alle normative Ue, con un maggiore ritorno sul capitale proprio. Inoltre monetizzare le attività fisse al valore di mercato migliora i parametri di liquidità, gli indici di solvibilità, quelli finanziari e le performance aziendali, come l’Ebitda, e può ridurre il costo medio ponderato del capitale. E poi si riducono gli oneri amministrativi se la gestione del bene può essere delegata alla società di leasing, permettendo all’azienda di concentrarsi sul core business. Il canone di leasing è solitamente fisso e trasparente, così l’azienda può pianificare meglio i propri costi».
I dazi e le restrizioni al commercio internazionale come impattano su questo business? «Gli Usa sembrano voler riportare produzioni nel proprio Paese – spiega ancora Mertlitz –. In chiave europea l’unica cosa certa è l’incertezza. Ma come investitori abbiamo una visione di lungo termine, che guarda oltre gli alti e bassi del momento. L’Europa è in qualche modo più orientata all’export, ma la direzione sembra essere quella di accorciare le catene di approvvigionamento, rendendole più resilienti. Gradualmente vediamo già un impatto. E a lungo termine potrebbe essere pure positivo per la nostra attività».
Fonte: Il Sole 24 Ore