Maltrattamenti, arresto anche se l’autore è assente ma la vittima ha segni evidenti

Maltrattamenti, arresto anche se l’autore è assente ma la vittima ha segni evidenti

Via libera alla convalida dell’arresto in quasi flagranza anche se il presunto autore dei maltrattamenti è assente, ma la donna ha evidenti segni di violenza e lui viene trovato, in tempi strettissimi, a casa della madre. La Cassazione ha respinto il ricorso contro la convalida dell’arresto in flagranza decisa dal Giudice per le indagini preliminari, con l’accusa di maltrattamenti aggravati, perché commessi in presenza dei figli minori e nei confronti della convivente. Un arresto non valido per la difesa perché eseguito in assenza delle condizioni di flagranza o di quasi flagranza, visto che all’arrivo dei Carabinieri il ricorrente non si trovava nell’appartamento. Solo in un secondo momento era stato rintracciato a casa dalla madre, come aveva indicato la moglie. L’arresto era poi ingiustificato anche perché non c’era l’elemento dell’abitualità della condotta, necessario per il reato di maltrattamenti, visto che al più si era trattato di un solo episodio. Erano dunque illegittimi sia l’arresto sia il divieto di avvicinamento alla persona offesa.

Il nuovo Codice rosso

La Cassazione, però, conferma entrambe le misure. I giudici di legittimità danno atto di un errore, commesso dal Gip, che aveva richiamato impropriamente l’ipotesi della flagranza differita, introdotta dal nuovo Codice rosso (legge 168/2023). Una norma che consente, nel reato di maltrattamenti, di procedere all’arresto in flagranza, di chi sia inchiodato alle sue responsabilità da foto o video, che dimostrino in maniera inequivocabile i fatti e il loro autore. La condizione è, però, che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione o comunque entro le 48 ore dal fatto stesso. Nello specifico la donna aveva mostrato un file con 30 sue fotografie nelle quali erano evidenti i segni delle violenze. Ma si trattava di foto scattate in epoche diverse.

Per la Corte basta però la percezione che avevano avuto gli agenti. La polizia giudiziaria aveva trovato la signora chiusa con i figli nella stanza deibambini, «in forte stato di agitazione e in lacrime, con vistosi segni di aggressione al volto (tumefazioni, graffi, sangue coagulato), nonché i locali dell’appartamento a soqquadro – si legge nella sentenza – con in terra una ciocca di capelli “strappata alla persona offesa dalla furia” dell’indagato ebottiglie di alcolici vuote disseminate dappertutto». E il presunto aggressore era stato rintracciato «pochi minuti dopo i fatti». Un arresto, dunque, «eseguito in rapporto di strettissima successione cronologica con la verificazione dei fatti, che erano palesemente a lui riconducibili». Pesa contro il ricorrente anche una sua stessa affermazione: a suo avviso la moglie gli aveva rotto il naso – lesione di cui non c’era traccia – ma l’accusa era un’ammissione implicita che c’era stato un contatto fisico. Non passa neppure la tesi dell’evento sporadico e non abituale. E questa volta per dimostrare la sistematicità delle violenze sono utili le foto che gli agenti avevano visto, unite ai racconti della vittima di violenze e vessazioni del coniuge subite per anni.

Fonte: Il Sole 24 Ore