Masbedo: il nostro cinema, romanzo visivo

Masbedo: il nostro cinema, romanzo visivo

I.B.: La letteratura racchiude in sé sia l’aforismo – che per analogia può essere la ricerca propria della videoarte – che il romanzo. «Arsa» è un romanzo. Il linguaggio letterario è un’educazione.

N.M.: Abbiamo lavorato con Michel Houellebecq per cinque anni, con Aldo Nove, Walter Siti. Veniamo da un tipo di scuola in cui la narrazione è già dentro l’immagine. Continueremo a “fare gli aforismi”, ma nel frattempo stiamo scrivendo il nostro terzo lungometraggio.

Il cinema dei Masbedo come nuova forma. Quanto questa forma è relazione?

I.B.: Abbiamo sempre cercato una relazione con lo spettatore. Lo spettatore è un vero impollinatore, è colui che di fronte all’arte, al cinema, al teatro sa creare quei ponti che a volte la critica ha difficoltà a costruire. Questa sua capacità di impollinazione è superiore a quella di chi produce contenuti. I mondi del cinema, dell’arte, del teatro, sono molto chiusi, è rarissimo che dialoghino fra loro. Noi ci siamo messi fuori dalla nostra zona di comfort per misurarci con altri mondi. Chi lo fa, spesso paga uno scotto, perché questi passaggi sono tutt’altro che automatici. Lo spettatore ha invece la libertà di poterlo fare.

N.M.: Quella dello spettatore è una azione politica e poetica. «Arsa» è un film imperfetto, che gli chiede moltissimo: l’arte, a differenza del cinema, ha bisogno dell’errore. Allo spettatore qui spetta il “secondo montaggio”, un viaggio in associazioni libere. Ha una grande responsabilità soggettiva, e il nutrimento che gli deriva dal film gli consente di essere soggetto nella questione, non fruitore passivo. Si pensi a Michelangelo Antonioni e a Ingmar Bergman (nel 2007, con «July 30», i Masbedo rendono omaggio ai due registi, morti lo stesso giorno, ndr): il cinema non è passatempo, anche se oggi viene sempre più visto come un prodotto lineare, che deve essere chiaro, con una sceneggiatura che porti da A a Z. Manca il mistero di un altro tipo di cinema, l’anti-cinema.

Fonte: Il Sole 24 Ore