
“Megalomanie”, tra ironia e finzioni la mostra di CANEMORTO a Roma
“In una società che celebra solo il successo, gli artisti ci ricordano quanto sia importante accettare l’errore, la frattura, l’imprevisto”. Sono le parole della curatrice Carlotta Spinelli intervistata da Frank Petravich nell’articolo La poetica del fallimento, contenuta ne “Il Quotidiano dell’arte”, numero 461, maggio 2025. La pubblicazione emula in maniera ironica i caratteri tipografici, l’impaginazione e la distribuzione delle notizie di un giornale dedicato all’arte. La CANEMORTO, trio di artisti anonimi attivo dal 2007, si inserisce, infatti, nel sistema dell’arte e ne analizza la comunicazione, i meccanismi di promozione e il mercato stesso.
Origini street
La forza che deriva dalle origini street del trio è proprio quella di riuscire a infiltrarsi tra le maglie istituzionali, pur mantenendo tratti indipendenti. Il trio indossa maschere da guerrilla, parla una lingua non identificata e venera una divinità canina chiamata Txakurra che permette ai 3 componenti di dipingere a 6 mani in una sorta di sovrapposizione identitaria.
La Canemorto ribalta così le aspettative, manipola da dentro il linguaggio e i corollari del sistema, cercando di calzare i panni degli addetti al settore tra curatori, giornalisti, critici e mercanti.
Megalomanie, presso la Project room di Fondazione Nicola Del Roscio, presenta fogli bruciati, lastre di alluminio “grandi come porte” contorte e accartocciate che occupano l’ovale centrale, dieci micro stampe trovate al centro della sala in un minuscolo cratere che possono essere lette solo tramite la lente di microscopi.
Ad accompagnare la mostra, un mediometraggio interpretato da CANEMORTO mostra il processo che ha dato vita alla mostra – l’idea di creare le stampe più grandi al mondo, entrare nel Guinness dei primati, svoltare la propria situazione economica – e si conclude con un mistero…cosa ha scatenato l’esplosione in Fondazione e dove sono finiti i tre componenti del collettivo?
Fonte: Il Sole 24 Ore